La vita, spesso, si riduce a una voce narrante nella nostra testa. I più la chiamano coscienza, altri preferiscono definirla anima, ma è comunque quella voce interna che apre le porte sul nostro mondo. Quell’universo di convinzioni e scelte, in grado di renderci le persone che siamo, forse. Farnetichiamo ogni giorno, pensando a bassa voce, formulando ragionamenti articolati, architettando congetture, sempre con quell’atteggiamento risolutivo che ci definisce umani. O quasi. A quest’eterno “parco giochi”, che scandisce le nostre menti, ha voluto dar forma e caratterizzazione Marcello Macchia, meglio noto come Maccio Capatonda a tutti gli amanti della comicità demenziale e non solo. Anche se, a dirla tutta, il “Mondo Maccio”, più che demenziale è divertente e precursore del tempo. Marcello Macchia è stato capace – sin dai suoi esordi – di esasperare le nostre consapevolezze, persino attraverso i difetti. I più arguti ricorderanno i suoi trailer, esilaranti, come La febbra, dove Maccio faceva il verso ai thriller campioni d’incassi con una voce fuori campo che sbagliava i congiuntivi. Erano i primi anni Duemila, da allora due lungometraggi da regista hanno fatto la loro parte al botteghino; eppure Maccio ha desiderato tornare al suo pallino: la serialità. In effetti Marcello Macchia, ben conscio del fatto che le serie tv siano la nuova tendenza in merito alle vendite, aveva già sperimentato questo terreno: Mario e Mariottide ne sono l’esempio. Quest’anno, con The generi Maccio approda a Sky e mette a disposizione tutto il suo estro e la sua “follia” creativa. Otto episodi da quaranta minuti l’uno – più o meno – che prendono a modello, diciamo così, i vari generi del cinema italiano e internazionale. Per la prima volta, Marcello Macchia guarda oltre i nostri confini e, attraverso l’italianità rende cosmopolita un prodotto appetibile anche per altri mercati. Dalla sua c’è sicuramente la struttura, più vicina a modelli esteri, che basa tutto sulla concretezza e sulla brevità di ogni episodio. In poco più di mezz’ora non c’è tempo per annoiarsi e si può prestare attenzione a tutti i meccanismi di un ingranaggio ben oliato. Gianfelice Spagnagatti, un giornalista “sui generi” La vicenda ruota attorno a Gianfelice Spagnagatti, giornalista freelance pigro e per niente opportunista, che preferisce passare la vita a casa guadagnandosi da vivere scrivendo recensioni di film. Innamorato della sua dirimpettaia, è però troppo sopraffatto da ansie e paure per dichiararsi. Così, nel bel mezzo di una discussione animata con il suo oggetto del desiderio, finisce in un’altra dimensione. Anzi, proprio in un altro genere. Comincia una traversata macchiettistica che parte dal western e si conclude con il melodramma, scorrendo in rassegna i vari canoni del cinema nel recente passato. Vari livelli spazio temporale che il nostro uomo dovrà fronteggiare fra gag e peripezie. Il nazional-demenziale tra vecchio e nuovo Ovviamente, in questo costante “Paese dei balocchi” in cui gli scenari mutano in continuazione, c’è ampio spazio per il teatro dell’assurdo, la gag e il nonsense che hanno reso celebre Maccio e i suoi compagni di sventura: ritroviamo Anna Pannocchia, Rupert Sciamenna, Herbert Ballerina e Nino Frassica; ma anche new entry – direttamente dall’universo The Pills (non a caso Luigi di Capua figura fra i principali autori di questo progetto) – come Valerio Desirò. Il segno tangibile di Di Capua si evince in ogni episodio, formando un connubio nazional demenziale. The generi è talmente ben strutturato da far ridere con poco. Un insieme di celebri novità da far impallidire la concorrenza, a tal punto da sbeffeggiarla con garbo. Ogni stereotipo con Maccio è messo alla gogna dello sberleffo e qualunque cosa si annulla dentro una risata incredula e fragorosa.