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Salò e le 120 giornate di Sodoma: la storia del film più estremo di Pier Paolo Pasolini

17/03/2020 14:29

Marco Filipazzi

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Salò e le 120 giornate di Sodoma: la storia del film più estremo di Pier Paolo Pasolini

Censurato, martoriato, sequestrato, maledetto: Salò è una delle pellicole più misteriose del cinema italiano

Censurato, martoriato, sequestrato, maledetto: Salò e le 120 giornate di Sodoma è una delle pellicole più misteriose del cinema italiano, degna esponente del cinema estremo

Il nostro viaggio nel mare del cinema estremo si è concluso. Eppure, sedendoci sulla spiaggia, abbiamo ancora il tempo per contemplare una piccola conchiglia che abbiamo raccolto al largo. Un film raffinato e terribile, affascinante e misterioso, tanto potente da trascendere lo schermo: Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. La storia è presto detta: durante la Repubblica di Salò quattro Signori (metafora delle forme di potere: casta, clero, economia, giustizia) fanno rapire alcuni giovani e li rinchiudono insieme a loro in una villa. Per 120 giornate i ragazzi dovranno soddisfare ogni richiesta dei Signori.

Una produzione maledetta: nel piano originario di Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una Trilogia della Morte da contrapporte alla già girata Trilogia della Vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte) come segno dell’avvizzimento culturale del nostro paese.

Salò: un film maledetto

In fase di sceneggiatura il regista studiò approfonditamente, oltre a Le 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade, l’Inferno di Dante e soprattutto Il Male Radicale di Kant, per acuire la metafora di un’umanità ridotta in schiavitù dal consumismo. Le riprese iniziarono nella primavera del ’75 nel mantovano, in un clima reso ostico dai contenuti inscenati: alcuni attori riportarono abrasioni e ustioni, al punto che lo stesso regista si sentì colpevole per le torture inflitte. Durante la lavorazione furono anche trafugate alcune bobine per le quali venne chiesto un riscatto, a cui la produzione non si piegò. Per il montaggio finale vennero quindi usate riprese secondarie girate con angolazioni diverse, ma resta il dubbio che molte scene (soprattutto nel finale del cortile) siano andate perdute per sempre.

 

Pier Paolo Pasolini pensò a quattro epiloghi differenti, indeciso sulla conclusione da dare al film.

 

Il primo era l'inquadratura di una bandiera rossa con la scritta È amore. Il secondo mostrava il regista, la troupe e l’intero cast (esclusi i quattro Signori) ballare all’interno della villa arredata con bandiere rosse. Un terzo (scritto ma mai girato) mostrava i quattro Signori filosofeggiare sulla morale della vicenda. Infine il “finale Margherita” giunto in sala, dove due giovani soldati ballano tra loro. Il montaggio del film venne concluso il 30 ottobre del 1975 e il regista commentò dicendo che rappresentava una sfida. «Se lo lasciano passare la censura non esiste più». Salò o le 120 giornate di Sodoma? Venne vietato ai minori di 18 anni.

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Nella notte tra l’1 e il 2 novembre Pier Paolo Pasolini fu ucciso, percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia; il colpevole venne identificato nel diciassettenne Pino Pelosi, il quale aveva cenato in compagnia del regista. Tuttavia parecchie circostanze di quella notte restano tutt’oggi poco chiare, tra cui il movente mai chiarito dell’omicidio. Tra le ipotesi emerse c’è anche quella che Pier Paolo Pasolini fosse stato informato del ritrovamento delle bobine rubate di Salò e si fosse recato sul luogo dell’incontro insieme a Pelosi, cadendo però vittima di un agguato.

 

Il film fu presentato al Festival di Parigi il 22 novembre del 1975 e arrivò nelle sale italiane il 10 gennaio dell’anno successivo, tra polemiche e accuse. Vennero aperti 31 processi (tra cui quello per oscenità e corruzione di minori al produttore Alberto Grimaldi) tant’è che Salò o le 120 giornate di Sodoma venne ritirato dopo soli tre giorni di programmazione, sino al 10 marzo 1977, salvo poi essere sequestrato nuovamente a giugno. La pellicola non tornò nelle sale sino al 1985; è stata trasmessa in pay-per-view solo nel novembre 2000 (per commemorare i 25 anni della morte di Pier Paolo Pasolini) e a oggi non è stato mai passata da alcuna emittente “in chiaro”.

 

Il simbolismo di Salò e le 120 giornate di Sodoma

Pasolini non era uno sprovveduto e nulla nelle sue opere è affidato al caso. Salò o le 120 giornate di Sodoma non fa eccezione, anzi, della maniacalità e della rigidità di certe regole ne fa un pilastro narrativo. L’aspetto più intrigante del film è l’ossessione per il numero 4. 4 Gironi: Anti-Inferno, Girone delle manie, Girone della merda, Girone del sangue. 4 Signori: il Duca, il Vescovo, il Presidente della Corte d'Appello e quello della Banca Centrale. 4 Meretrici (tre narratrici e una pianista) che raccontano le proprie esperienze sessuali per eccitare i Signori. Persino le 120 giornate sono multiple di 4.

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Le vittime scelte sono inizialmente 9 maschi e 9 femmine, ma un ragazzo resta ucciso mentre tenta di fuggire dal camion e una fanciulla viene trovata morta davanti a un’immagine religiosa. Suicidio? Omicidio? Si tratta di una delle tante scene mai spiegate del film, lasciate (volontariamente?) all’interpretazione dello spettatore. Questo riporta le vittime allo schema del numero 4, cioé 8 uomini e 8 donne. 4 sono anche figlie dei Signori, che nella scena iniziale servono a suggellare il patto, e che vanno aggiunte al conteggio delle vittime, portandole a 20. Con il progredire della vicenda però questa numerica viene sparigliata in quanto 3 delle vittime passano dall’altro lato della barricata (sedotti del potere dei Signori) e diventano carnefici. Questo mutamento è raccontato in modo superficiale (o talvolta inesistente) nel film, ma è ben documentato dalle foto di scena di Deborah Beer. Le sue circa 8000 foto permettono di ricostruire quanto avvenne durante la produzione di Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Se il conteggio delle vittime nel finale in cortile è di 17, un’altra foto di scena mostra chiaramente 16 cadaveri avvolti in altrettanti sudari, disposti su due file da 8. I conti quindi non tornano ed è impossibile farli tornare basandosi solo sui fatti mostrati nel film. Una delle ragazze infatti viene uccisa dai Signori dopo aver denunciato la tresca tra un collaborazionista e una vittima, ma è una svolta narrativa portata alla luce solo dalle foto di scena. Il finale in cortile riprende poi la struttura matematica: 4 sessioni di morte durante le quali si alternano come voyeur i 4 Signori mentre gli altri tre suppliziano 4 vittime per volta (il che quadra con i 16 cadaveri avvolti nei sudari di cui sopra). In questo caso dalle foto di scena è possibile apprendere che le torture alle vittime erano ben più marcate, mostrate con sadico dettaglio.

 

Che queste scene, effettivamente girate ma mai giunte sullo schermo, fossero impresse su quelle bobine scomparse che forse sono complici dell’omicidio Pasolini?

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Non lo sapremo mai, ma tutti questi fatti, queste scene mancanti e le sottotrame rimaste in sospeso e mai spiegate (tanto nel film, quanto nella vita reale), negli anni non hanno fatto altro che alimentare l’alone di mistero attorno a Salò o le 120 giornate di Sodoma. A complicare ulteriormente le cose anche i silenzio di chi, a suo tempo, collaborò alla produzione, dalla troupe agli attori. Solo pochissimi, infatti, hanno accettato di rilasciare dichiarazioni in merito alla produzione nei decenni successivi, contribuendo ad amplificare la fama di “film maledetto” di cui la pellicola si fregia.

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