L’ultimo film di Babak Jalali (prodotto con solo un milione di dollari) dopo un arrivo silenzioso in sala e la vittoria del John Cassavetes Award, approda su Raiplay. E merita di essere visto.
Donya è una ragazza afghana che, nonostante la sua giovane età, ha già attraversato l’inferno. Dopo aver lavorato in patria come traduttrice per l’esercito americano e, con la presa del potere dei talebani, è stata costretta a fuggire da Kabul e ora vive come rifugiata in un motel a Fremont, in California. Lavora in una fabbrica di biscotti della fortuna nella China Town di San Francisco, ha pochi amici e soffre d’insonnia.
Quando si rivolge a uno psicologo per ottenere dei sonniferi, lui riconosce nell’incomunicabilità e nella solitudine che ne deriva il vero problema di Donya.
Un film che mostra una quotidianità che fa sorridere, ma che permette di vedere oltre la cortina di ferro dei luoghi comuni americani.
Lo spazio racconta Donya, il motel di Fremont è una casa instabile, piccola e ordinata, dove in mezzo a tanti volti familiari non ci si sente accolti ma addirittura respinti, da alcuni, isolati come traditori. Lei stessa è lo specchio di quello che appare come il contenitore della più grande comunità afghana in America e, di questa pluralità sgangherata, si fa testimone e portavoce nel denunciare, con i suoi occhi scuri e determinati, la reale condizione dei suoi connazionali.
In questa umanità imperfetta e tenera, la figura più interessante è quella del ristoratore afghano dove Donya va a cena tutte le sere. I due non fanno altro che guardare una soap opera e, mentre lei mangia a tavola con lui in piedi alle sue spalle, il silenzio viene rotto solo da qualche raro scambio di battute. Ma è lui che riesce a cogliere il senso di colpa della protagonista, la scopre per quello che è e la sollecita, proprio come la voce della coscienza: “Non so se sia la serie a essere interessante o la mia vita a non esserlo“. Sono tutti personaggi dannatamente soli, chiusi in difficoltà che non hanno il coraggio di riconoscere.
Questa è una storia asciutta ed essenziale, narrata in bianco e nero e tagliata in 4:3 che, però, lascia spazio a piccoli simboli, sparsi come molliche di pane. È proprio qui che il biscotto della fortuna diventa una sottile metafora della denuncia sociale del film, perché non tutti sanno che i giapponesi immigrati in California sostengono che questo prodotto nasca proprio qui, all’inizio del XX secolo, ricreato e pubblicizzato a immagine del cracker giapponese.
L’assenza quasi totale di musiche extradiegetiche viene compensata dalla potentissima scena in cui Joanna, amica e collega di Donya, canta al karaoke "Just another Diamond day”. C’è soltanto lei, in piedi nel suo salotto, una birra in mano, illuminata da una palla stroboscopica, e Donya seduta al centro del divano, in lacrime per la commozione.
Just another life to live
Just a word to say
Just another love to give
And a diamond day
La riuscita del film si deve soprattutto alla meravigliosa interpretazione di Anaita Wali Zada, esordiente sorprendente che sembra firmare qui la sua autobiografia di ex giornalista perseguitata dai talebani. Il merito è anche della penna di Carolina Cavalli, che si unisce al team di scrittura del regista iraniano per la seconda volta.
Nonostante le premesse, si ride anche, grazie ai dialoghi quasi surreali tra i diversi personaggi, soprattutto quelli tra medico e paziente. Sono buffi disagi che si parlano, tra lunghe digressioni su Zanna Bianca e perle di saggezza che rompono i silenzi, “Una nave nel porto è sicura, ma non è per questo che sono state costruite le navi”.
Jalali in questa opera ci fa tanti piccoli regali, ultimo non per importanza Jeremy Allen White nei panni del meccanico, ma il dono più grande è quello della speranza, vestita di un abito leggero, che all’ombra di un albero guarda lontano. Il regista attua una decostruzione degli stereotipi occidentali più radicati, lasciando sul tavolo solo la cruda realtà, e ci invita tutti a partecipare al funerale del sogno americano. E quindi andate in pace.
Genere: drammatico
Paese, anno: USA, 2023
Regia: Babak Jalali
Sceneggiatura: Carolina Cavalli, Babak Jalali
Interpreti: Anaita Wali Zada, Gregg Turkington, Jeremy Allen White, Hilda Schmelling, Avis See-tho, Siddique Ahmed
Distribuzione: RaiPlay
Fotografia: Laura Valladao
Montaggio: Babak Jalali
Musiche: Mahmood Schricker
Produzione: A Butimar Productions, Extra A Productions, Blue Morning Pictures
Durata: 92 min