Le fasi della vita di una donna che viene chiamata Parthenope, come la mitica sirena che diede il nome alla sua città natale, Napoli. La nascita nel 1950 in un’agiata famiglia di Posillipo, la giovinezza feroce e spensierata negli anni ‘70, le scelta da adulta di allontanarsi da Napoli e diventare antropologa e infine, in vecchiaia, il ritorno e la riappacificazione con i ricordi.
Presentata in anteprima al Festival di Cannes e arrivata nelle nostre sale il 24 ottobre, quest’ultima opera di Paolo Sorrentino ha avuto un’accoglienza estremamente controversa. Una pellicola divisiva, accompagnata da numerose polemiche. In rete e sui social innumerevoli sono le recensioni ed i commenti: alcuni rasentano l’insulto e altri urlano al capolavoro. Può essere difficile, pertanto, immergersi nella visione, lasciandosi alle spalle tutte queste voci contrastanti e valutare in maniera oggettiva e scevra da ogni pregiudizio questa narrazione cinematografica.
Eppure questo film necessita di un giudizio oggettivo e pacato, che prescinda dalla fama “ingombrante” (in senso buono) dell’autore e regista. Non si rimane indifferente alla vicenda umana di Parthenope, questo è poco ma sicuro.
Da un lato, è vero, il film è un’allegoria di Napoli stessa; ma è anche e soprattutto la storia di una donna con un vissuto in cui si alternano momenti di splendore e decadenza, come accade nella vita di ognuno di noi.
Forse questo non è il film più riuscito di Sorrentino, come molti hanno affermato. Forse è vero anche che è meno profondo di ciò che voleva risultare. Ma non è affatto privo di anima.
La regia e la fotografia sono senza dubbio un piacere per gli occhi e al contempo funzionali alla narrazione. Non c’è una sola inquadratura che sia casuale: la luce e gli ambienti rispecchiano in pieno l’essenza dei personaggi e delle situazioni che stanno vivendo. Particolarmente suggestive e coinvolgenti sequenze come quella del lento a Capri tra Partenope, Raimondo e Sandrino sulle note struggenti della canzone di Cocciante Era già tutto previsto. Oppure la sequenza nei quartieri spagnoli, dove si mescolano senza soluzione di continuità elementi di crudo realismo e momenti onirici.
Un altro valore aggiunto del film è il cast. In primo luogo veramente notevole l’interpretazione di Celeste della Porta nei panni della protagonista Parthenope: la giovane attrice, oltre che incantare per la sua bellezza eterea, ha dimostrato una notevole capacità attoriale, recitando per sottrazione, non essendo mai sopra le righe. Inoltre è stata davvero brava nel riprodurre l’accento napoletano, per di più l’accento particolare della Napoli dei quartieri alti, quella di Posillipo, che è differente dal vernacolo napoletano dei quartieri popolari.
Straordinarie anche le interpretazioni di Silvio Orlando nei panni del professore Devoto Marotta (forse non casuale la scelta del cognome, lo stesso dell’autore dell’Oro di Napoli) e di Peppe Lanzetta, nei panni del Cardinale Tesorone (un altro nome parlante!). Degne di nota anche le performance di Gary Oldman, con il suo malinconico e decadente scrittore John Cheever e poi di Luisa Ranieri, Isabella Ferrari, Stefania Sandrelli ed i giovani interpreti Daniele Rienzo e Dario Aita.
L’aspetto più controverso del film è, invece, la sceneggiatura. Se l’intento era - come dichiarato dallo stesso autore in varie interviste - di descrivere lo struggimento per il tempo che passa e l’epicità della vita, attraverso i momenti cruciali dell’esistenza della protagonista, l’obiettivo è stato centrato in pieno. I dialoghi sono un po' artefatti, è vero: un susseguirsi di aforismi, talvolta ripetitivi e didascalici (come ad esempio la domanda iterata che gli uomini rivolgono a Parthenope, ovvero "A cosa stai pensando?”).
Più credibili le scene in cui non si eccede con le frasi a effetto. Questo accade, ad esempio, durante l’ultimo confronto amaro tra Sandrino e Parthenope, dopo la morte di Raimondo e anche nelle scene che delineano il rapporto tra Parthenope e Marotta. Inutili le sequenze volte a creare per forza un effetto shock nello spettatore (come il sesso, che rasenta lo stupro, tra i due giovani delfini delle famiglie camorriste, esibito come uno show per gli affiliati). Pleonastico e inutilmente eccessivo anche il personaggio del figlio del professor Marotta.
Parthenope merita di essere visto anche per un altro grande protagonista: il mare, sempre presente nei momenti cruciali della vita della protagonista. Per lei è simbolo di nascita (in acqua, come la sirena da cui prende il nome) e di morte (il suicidio di Raimondo avviene anch’esso nel mare). Inoltre il mare rimanda al viaggio: tutto il film, del resto, è la storia di un viaggio; quello interiore della protagonista, che termina con un ritorno a casa e una serena riconciliazione con il passato.
Parthenope è un buon melodramma con spunti di riflessione interessanti sulle svolte della vita e sulla tragedia che è sempre dietro l’angolo. Ma è anche un film sull’importanza della libertà nelle proprie scelte, che consente di non annegare nei rimpianti e di vivere pacificati con il passato.
Paese, anno: Italia/Francia, 2024
Lingua originale: italiano, napoletano, inglese
Genere: drammatico
Regia: Paolo Sorrentino
Interpreti: Celeste Dallaporta, Stefania Sandrelli, Daniele Rienzo, Dario Aita, Gary Oldman, Silvio Orlando, Peppe Lanzetta, Luisa Ranieri, Isabella Ferrari
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Daria D’Antonio
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Musiche: Lele Marchitelli
Scenografia: Carmine Guarino
Costumi: Carla Poggioli
Produzione: The Apartment, Fremantle, Saint Laurent productions, Numero 10, Pathé Pictures
Data di uscita: 24 ottobre 2024
Durata: 136’