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Sanctum 3D

10/02/2011 12:00

Marco D'Amato

Recensione Film,

Sanctum 3D

Dopo l’epocale successo di Avatar James Cameron produce questo Sanctum 3D: il risultato? Il punto di contatto tra i due film è da ricercarsi solo ed esclusivame

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Dopo l’epocale successo di Avatar James Cameron produce questo Sanctum 3D: il risultato? Il punto di contatto tra i due film è da ricercarsi solo ed esclusivamente nell’utilizzo dell’ormai famigerato "Pace Fusion 3D Camera System": dopo Pandora, il 3D di Cameron porta lo spettatore negli abissi di Esa-Ala, in Oceania. Sicuramente evocativa la tridimensionalità che assumono le immagini, sebbene spesso frenata proprio dall’ambientazione: i paesaggi in penombra, se non al buio totale per la gran parte del tempo, non aiutano la comprensione e infatti è nella prima parte del lungometraggio che la tecnologia viene sfruttata al meglio. Per il resto, il nome del regista americano sembra apparire solo per attirare pubblicità e spettatori.


Frank McGuire (Richard Roxborough), esperto ricercatore subacqueo, è impegnato ad esplorare le grotte di Esa-Ala, nell’Oceano Pacifico assieme al suo gruppo comprendente il figlio Josh (Rhys Wakefield), il finanziatore Carl Hurley (Ioan Gruffudd) e la sua fidanzata Victoria (Alice Parkinson); un inatteso ciclone in superficie renderà l’immensa grotta una trappola mortale da cui sarà molto difficile uscire.


Siamo di fronte a un action thriller assolutamente standard, diretto da un Alister Grierson che si concentra principalmente sulle numerose scene d’azione e fisiche; nulla di male, ne sarebbe potuto uscire un buon film di genere per gli appassionati e i maniaci dell’adrenalina. Il film tuttavia non riesce a decollare in alcun modo, rovinato da una sceneggiatura telefonata la quale permette di pronosticare l’intera vicenda dopo un quarto d’ora circa. I personaggi sono insignificanti e tagliati con un machete, dal padre-cyborg duro e ineffabile con la capacità affettiva di un sasso al figlio ribelle ma bisognoso di affetto; dal giovane miliardario perdigiorno alla sua fidanzata bella e cocciuta. E sull’onda del rapporto di odio-amore tra padre e figlio partono alcuni dialoghi involontariamente comici, pronti a certificare la qualità scadente della base di partenza. Come tanto piace agli americani, nel pericolo si scatena la corsa all’eroismo: chi si sacrifica per salvare i compagni, chi si suicida per non rallentarli e così, tra tragiche dipartite dimenticate nel giro di pochi minuti, citazioni di Samuel Taylor Coleridge e strazianti (per lo spettatore) confessioni, si arriva al prevedibile finale. Da salvare solo alcune scene girate in spazi davvero angusti. Tutto il resto, francamente, è noia.


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