Benito Mussolini, ottant'anni dopo la sua scomparsa, torna misteriosamente per le strade della Capitale determinato a riprendere in mano il Paese. Troverà al suo cospetto molte novità, che apprenderà grazie ad Andrea Canaletti (Frank Matano), giovane documentarista sottopagato, con cui girerà l'Italia per realizzare un film che descriva la voglia e la determinazione del dittatore nel riprendersi la sovranità. Questo è quanto crede Benito, in realtà troverà cittadini disillusi dalla società civile e nostalgici, capaci di farsi ammaliare da belle parole, con poche speranze, e totale confusione. Le qualità ideali per improntare una nuova adesione politica, che si fonda - paradossalmente - sull'antipolitica. Luca Miniero, regista partenopeo che nel tempo ha dimostrato come far riflettere dispensando sorrisi, torna alla regia con una commedia politicamente scorretta che prende le mosse dal lavoro del collega tedesco David Wnedt Lui è tornato. In Germania, tre anni fa, hanno avuto la brillante idea di lasciarsi cullare da una suggestione paradossale: far tornare in vita Adolf Hitler. Un paradosso storico che ha riempito le sale; ora, con qualche anno di ritardo, anche l'Italia si è cimentata nello stesso esperimento cinematografico. Quel che ne vien fuori è un road movie, pieno di risate amare e di consapevolezze che rendono palesi certe nostalgie tutte italiane. Mussolini, qui, rappresenta una maschera che raccoglie ansie, tumulti e perplessità di un popolo che ha poca memoria e che non si sente compreso dall'attuale classe dirigente. Allora, la collettività, anziché schierarsi e guardare al futuro, preferisce lasciarsi cullare da quest'improvvisato dispensatore di presunta nuova moralità. Il vecchio torna di moda, perché il presente delude e disincanta. Luca Miniero porta avanti questa tesi non con la presunzione di un uomo di spettacolo, ma con la curiosità di un regista che indaga prima di intrattenere un pubblico: parte proprio dallo spettatore, che diventa protagonista grazie a innumerevoli candid camera in cui persone qualunque parlano col novello Benito Mussolini - interpretato da un convincente Massimo Popolizio - ed espongono i loro pensieri riguardo a un possibile ritorno del fascismo. Si crea, perciò, una conversazione che attraversa l'Italia e in cui emerge quanto il progresso abbia regredito di fatto le coscienze. Non è la dittatura a sconvolgere, ma la facilità con cui i cittadini (non attori, persone comuni!) perdonerebbero atti scellerati in nome della stabilità garantita da un uomo solo al comando. Disposto assumersi esclusivamente lui oneri e onori di un Paese, lasciando il resto degli abitanti in balia delle responsabilità altrui. Quel che conta è la propaganda, che diventa (o resta) la vera arma di distruzione di massa. Mussolini, a contatto col progresso, inizialmente sembra comportarsi come un estraneo ma poi, non appena capisce che - malgrado tutto - le cose non sono cambiate più di tanto rispetto a otto decenni prima, si fa strada nelle vite degli altri con l'espediente della comicità: quella che inizialmente viene proposta come satira non è altro che l'ambizione al comando celata da un fallace scetticismo. Per accattivarsi l'italiano medio è sufficiente qualche selfie e tre, quattro, frasi fatte da riproporre a piacimento. Sono tornato racconta come l'audience, i like, lo share - più banalmente il consenso - azzeri qualsiasi nefandezza. La memoria è labile e nel caos emerge chi sa fingersi sicuro e disponibile. Mussolini incarna, anche nel 2018, velleità presenti nella maggior parte degli italiani tenute a bada quotidianamente. Luca Miniero le porta al cinema con un artificio assurdo che lascia trapelare un senso di angoscia per alcune inquietanti somiglianze con il passato.