La sezione Orizzonti di Venezia77 si apre con due film, vicini anche nel tema che li unisce: The Wasteland e Milestone
La prima giornata di questa edizione “speciale” del 77esimo Festival del Cinema di Venezia inizia da due film della sezione Orizzonti, vicini anche nel tema di fondo che li unisce.
The Wasteland (Dashte Khamoush)
In un villaggio in Iran una piccola comunità è impiegata in una fornace che produce mattoni. Il padrone ogni giorno ripete il medesimo discorso per motivare gli operai a resistere alla durezza del lavoro e alla paga che tarda sempre più ad arrivare. Lotfollah, fidato assistente del padrone, è innamorato di Sarvar, nonostante sappia essere l'amante del capo. Quando la fornace dovrà cessare per sempre l'attività, tutti proveranno a cercare fortuna in città, tranne Loftollah.
Film autoriale e festivaliero per eccellenza, girato in un bianco e nero fatto di alte luci e ombre buie, in un formato quasi quadrato che si avvicina al 50mm fotografico, The Wasteland di Ahmad Bahrami ha una maniacale composizione dell'immagine e lenti movimenti di macchina che ricordano lo stile di Béla Tarr: la visione è faticosa e assorbita dalla tecnica più che dal film. Una storia personale (ispirata dal padre del regista) ma troppo schiava della sua forma rigorosa, che finisce per privare di spontaneità il racconto e i suoi personaggi, dei quali ci si dimenticherà abbastanza in fretta. Finale lento, solitario e doloroso, non proprio imprevedibile e sempre più buio, nonostante qualche schermo di cellulare lo illuminasse con crescente impazienza.
The Wasteland: Premio Orizzonti per il Miglior Film
Milestone (Meel patthar)
Un uomo lavora come camionista seguendo le orme paterne; la moglie non regge le sue infedeltà e la conseguente crisi coniugale, così si toglie la vita. Il consiglio del villaggio concilia la contesa con la famiglia della defunta chiedendo un risarcimento, ritenendo il marito responsabile della morte della donna. Ghalib sosterrà ritmi di lavoro sempre più sostenuti per accumulare la somma necessaria ma soprattutto per dimenticare i propri dolori. Un giovane appena assunto sembra però destinato a soffiargli il posto. Ben scritto e diretto con mano sicura: Milestone cresce un po' alla volta, tenendo lo spettatore sempre attento, pur senza alzare mai la voce. Ivan Ayr, una specie di Ken Loach indiano, dirige una storia di sfruttamento meno “urlata” ma non per questo meno dura.