Com'è nato il poster di Dogman? Ce lo ha raccontato Greta de Lazzaris, autrice della fotografia diventata icona del film
Se avete amato Dogman di Matteo Garrone, allora non sarete rimasti indifferenti dinnanzi alla locandina ufficiale del film: mostra un uomo che cammina su una spiaggia, portando sulle spalle il cadavere di un altro, mentre un cane li segue. Più che una fotografia, sembra un’illustrazione. Descrive perfettamente la cifra stilistica del film e riassume in qualche modo anche la storia, la sua intensità e gravità; racconta molto e al contempo resta enigmatica. Il merito di questo lavoro va a Greta de Lazzaris, fotografa di scena sul set di Dogman.
Nata a Marsiglia, dopo la laurea in letteratura con indirizzo cinematografico, lavora alla direzione della fotografia de L’Orchestra di Piazza Vittorio (2006), Nadea e Sveta (2013), Liberami e Lorello e Brunello (2017). È anche regista e autrice del documentario Rosarno (2014). Noi di Silenzio in sala l’abbiamo intervistata: per parlare di cinema, di Matteo Garrone, di immaginazione e di sogni.
Com’è nata l'idea della locandina di Dogman?
Era già presente, credo in fase di scrittura della sceneggiatura. C’era un teaser molto bello, non so se era ufficiale o meno, ma annunciava la preparazione del film: era un fumetto in stile western, che traduceva bene l’idea di una rivisitazione del famoso fatto di cronaca in chiave western-urbano-contemporaneo. Con Matteo non abbiamo mai veramente discusso della locandina e non sempre una foto di scena diventa la locandina del film. Mi ha indicato quattro o cinque scene alle quali teneva molto e che sarebbero servite per la promozione del film ed eventualmente per la locandina.
L’unica scena alla quale abbiamo dedicato un ciak per le foto è stata quella iniziale del bagno con il cane bianco, con l’idea che quella immagine potesse essere una possibilità di locandina. Molto ritoccata e stilizzata, quella foto è diventata locandina, con chiaro riferimento al western, allontanandosi così dal riferimento al fatto di cronaca della Magliana: in un luogo non riconoscibile, un uomo di spalle che porta il cadavere di un altro uomo, diventa un’immagine più universale.
L’immagine di Marcellino che attraversa il quartiere con il cadavere di Simone sulle spalle mi faceva venire in mente l’immagine del Cristo che porta la croce: Marcello porta la sua, animato dalla convinzione, nel suo delirio dostoevskijiano di aver compiuto un gesto eroico, di avere liberato il quartiere e i suoi amici da un personaggio indesiderabile, di poter finalmente tornare ad essere considerato come l’uomo giusto che è sempre stato. Un gesto estremo che nella sua follia ha la sua bellezza, come se lo potesse sdoganare dall’anonimato per esistere più forte agli occhi degli altri. Per me la locandina racconta questo. Come per il film. Non la storia del delitto del canaro della Magliana, ma la storia di una passione umana, che è quello che secondo me a Matteo interessa sempre raccontare.
Hai lavorato col direttore della fotografia Marco Onorato e anche la tua collaborazione con Matteo Garrone è di lunga data.
Ho lavorato come aiuto operatore su tutti i film di Matteo, da Estate Romana, fino a Tale of Tales - Il Racconto dei Racconti, dove ho lavorato come fotografa di scena, perché ormai avevo smesso di fare l’aiuto per passare alla macchina. Matteo conosceva le mie foto e così abbiamo continuato a lavorare insieme. Estate Romana è stata una delle mie prime esperienze dopo l’università e un paio di set in Francia. Eravamo poco più di otto persone per girare quel film. Una mini troupe, per un film che era al confine tra finzione e documentario.
Matteo ha un modo di girare unico e inimitabile perché è insieme estremamente istintivo, lucido, esigente e rigoroso. La sua ricerca di perfezione passa dall’improvvisazione, in generale direi che sa da dove vuole partire e dove vuole arrivare e ci si accanisce fino allo sfinimento. Allo stesso tempo, si lascia sorprendere dalle cose che possono nascere, ciak dopo ciak, e le fa sue. È una ricerca in tempo reale e quando giri con lui vedi svilupparsi il processo creativo. Con Dogman è tornato a lavorare con la stessa libertà che aveva nei film precedenti a Il Racconto dei Racconti. Una libertà di lavoro che vuole anche per i suoi attori.
Nel caso di una locandina, il marketing può incontrare l’arte?
Dovrebbe sempre, anche perché per un periodo diventa parte del paesaggio urbano: le incontriamo di sfuggita passeggiando, guidando, ed è importante che l’occhio ci si soffermi. Deve incuriosire, stupire, intrigare e, quando serve, anche essere ironica. Dall’altra parte siamo così tanto sommersi da immagini di ogni tipo, per la strada e sui social, che la locandina deve spiccare. Questo non vale solo per il cinema: tutto il marketing dovrebbe essere creativo. Invece le città sono tappezzate di immagini banali e spesso anche volgari.
Qual è la difficoltà più grande da affrontare dal punto di vista comunicativo nella realizzazione di una locandina?
Questa è una domanda che bisognerebbe rivolgere a chi si occupa di comunicazione e di promozione del film. Mi viene da dire: scegliere l’immagine più rappresentativa del film, senza svelare troppo.
Molte locandine sopravvivono ai film: quella dei poster cinematografici è diventata una vera e proprio arte da collezionare. Perchè secondo te?
Credo perché abbiamo un rapporto “magico” che ci lega a certe immagini. Un po' come le foto delle persone amate, un po' come i poster nelle stanze da letto dei ragazzi. Sono rassicuranti e ci fanno compagnia. Ci proiettiamo degli affetti del tutto personali. Oppure per piacere puramente estetico. Dopo tutto la locandina, se non è una foto scattata durante le riprese del film, è disegnata o è grafica. È comunque una forma d’arte, alla fine hanno una loro autonomia. Possono esistere da sole. Posso anche immaginare di innamorarmi della locandina di un film che non ho mai visto né vedrò mai.
Che progetti hai per il futuro?
A breve termine, almeno spero, ho due progetti personali: uno è fotografico, l’altro è documentario ma preferisco non parlarne prima di essere sicura di poter realizzarli. Per il resto, continuare a fare il mio lavoro più a lungo possibile, migliorando sempre.