Ci sono voluti quasi vent’anni perché Porco Rosso, uscito in Giappone nel 1992, arrivasse in Italia, ancora una volta distribuito dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti che negli ultimi anni si è cimentata nell’impresa di portare in Italia i capolavori del premio oscar Miyazaki Hayao, fra cui Il mio vicino Totoro e Ponyo sulla scogliera. Il film è stato presentato alla quinta edizione del Festival internazionale del film di Roma, nell’ambito della retrospettiva che la sezione Occhio sul mondo – Focus ha dedicato allo Studio Ghibli, la nota casa d’animazione nata dal sodalizio fra i registi Miyazaki e Takahata Isao. Porco Rosso nasce dalla grande passione di Miyazaki per il mondo dell’aviazione, inizialmente il progetto prevedeva la realizzazione di un semplice cortometraggio per la Japan AirLines, prendendo spunto da un fumetto ad acquerello che il regista aveva disegnato per la rivista Model Graphix, ma col tempo la storia crebbe e ispirò il suo creatore così tanto da trasformarsi in un vero e proprio lungometraggio. A riassumerne la trama sono nove topini che, nei titoli di testa, scrivono a macchina in diverse lingue: «Questo film narra la storia di un maiale, soprannominato Porco Rosso, che si batte contro i pirati del cielo a rischio del suo onore, della sua donna e dei suoi beni, ambientata nel Mar Mediterraneo all’epoca degli idrovolanti». Sul finire degli anni Venti Mario Pagot, conosciuto con il nome di battaglia di Porco Rosso, riposa su di una spiaggia leggendo una rivista di cinema e ascoltando musica francese. Ex pilota di idrovolanti sopravvissuto ad una disperata battaglia durante la Grande Guerra, si è trasformato per cause misteriose in un maiale antropomorfo senza però perdere minimamente fascino e carisma. Ritiratosi a vita privata, lontano dal giogo fascista, si guadagna da vivere come cacciatore di taglie sorvolando i cieli dell’Adriatico a bordo del suo rosso velivolo. Un giorno, a causa di un incidente finisce a Milano, dovrebbe riparare il suo idrovolante ma non avendo abbastanza denaro è costretto ad occuparsi della progettista della ditta riparazioni Fio Piccolo come risarcimento. Qualche tempo dopo l’arrivo del pilota americano Curtis, assoldato dai Pirati del Cielo, richiede il suo intervento per salvare il proprio onore e quello di una affascinante fanciulla che sembra conoscerlo da molto tempo. Miyazaki Hayao definì Porco Rosso una sorta di atto d’amore verso la cultura italiana, in cui dunque si assiste ad una rappresentazione esotica della penisola attraverso una serie di dettagli che non cadono mai nel puro stereotipo: la bellezza e la tranquillità del mare, l’accoglienza delle persone, l’operosità milanese, il vestiario tipico, la minaccia fascista, il dolore postbellico. A ciò si aggiungono degli accenni di apprezzamento per la cultura artistica francese e per il cinema hollywoodiano. Il tutto è combinato con i temi classici della poetica dell’artista giapponese caratterizzati da uno stile più realistico ma non per questo meno immaginifico. Nonostante il protagonista sia di sesso maschile, a farla da padrona sono sempre le donne, sempre loro il motore dell’azione, quello scopo senza il quale la vittoria e la crescita interiore sarebbe impossibile. È la coraggiosa Fio a ridare la speranza ad un Mario che le dice «Sei una brava ragazza. Mi fai credere che non tutta l’umanità sia da buttare», ed è soprattutto per l’eterea Gina che Porco Rosso ritorna alla carica. I disegni e i colori degli azzurri cieli adriatici fanno spalancare gli occhi e sorridere, le evoluzioni degli idrovolanti, quasi macchine fantastiche, accompagnate dalla coinvolgente colonna sonora risvegliano quel divertimento e quell’ingenuità infantile stampi peculiari dell’universo Miyazaki, che predilige in questo caso la svolta surrealista a quella mitologica e fiabesca. Per i fan del maestro dell’animazione, Porco Rosso non sarà certo da annoverare fra i suoi migliori lungometraggi, ma, in particolar modo per il pubblico italiano, rimane comunque un gran bel viaggio nostalgico. Recita il verso iniziale della canzone di Katou Tokiko che chiude il film: «Per una volta, facciamo una chiacchierata sui tempi passati? Quel familiare locale che usavamo frequentare, dalla finestra si vedevano i filari di ippocastani, con un caffè stavamo una giornata».