In un microcosmo sovrastato dalla luce implacabile di un faro che lo domina, condizionando destini, storie ed emozioni, si intrecciano, scontrandosi, le esistenze all'interno di un nucleo famigliare che, nella propria solitudine, si fa mondo. É il giovane Karl (Erik Lönngren), orfano determinato e di talento, a sovvertire definitivamente un ordine già instabile e a far deflagrare dinamiche affettive tanto forti quanto degenerate, entrando come apprendista del guardiano del faro nella quotidianità esasperata di quel mondo così esclusivo e isolato. Accaparrandosi l'affetto del suo superiore - padre e marito autoritario di una moglie remissiva e di un figlio debole, sul quale riversa tutte le proprie delusioni e frustrazioni - Karl diventerà motore e pomo di discordia all'interno di un universo dominato da un Dio tirannico, tenace, tormentato. Ha i distorti, sebbene stemperati, toni biblici da dramma fratricida la storia che la regista finlandese Ulrika Bengts mette in scena in una minuscola e desolata isola del Mar Baltico. Orchestrando in un crescendo disperato - tra silenzi glaciali, primi piani significativi, drammi quotidiani - le esistenze dei suoi protagonisti e riflettendole in un paesaggio naturale che pare negare qualsiasi alterità o sovversivo desiderio di riscatto, la regista traccia le coordinate di un'opera scarna che fa della valorizzazione di una realtà disadorna il suo pregio principale. É la congelata evidenza dei sentimenti a dettare le regole in questo ennesimo viaggio di formazione, un titanico percorso emotivo di rivalsa su un mondo di adulti inarrivabile, feroce ma fragile. Al di là dell'assenza di originalità di un intreccio spoglio e convenzionale, oltre il senso di déjà vu di una vicenda di paternità dispotica tra le più classiche e rappresentate, c'è una - tutt'altro che banale - parabola emotiva che parla di invidia, frustrazione e lutto; una storia di sovversiva maturità (indipendente dall'età), dotata di uno sguardo capace di mettere in dubbio l'Autorità e di scegliere autonomamente il proprio destino. Tra le onde e i sassi di una natura fredda e indifferente, un luogo che ha le coordinate indefinite di un Purgatorio in terra, la lotta di The Disciple si consuma dietro un'apparente semplificazione emotiva e di intenti, che nasconde tuttavia l'esemplare universalità di una crescita morale.