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La morte corre sul fiume

16/02/2014 12:00

Alessandro Amato

Recensione Film,

La morte corre sul fiume

Charles Laughton – classe 1899 - era un attore piuttosto noto...

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Charles Laughton – classe 1899 - era un attore piuttosto noto. Alcuni lo ricorderanno nei panni del sornione senatore Gracco in Spartacus di Stanley Kubrick, altri, magari, altrove. Robert Mitchum, di circa vent’anni più giovane, ebbe persino maggiore gloria. Curioso, per fare un esempio, che entrambi fossero presenti sugli schermi italiani nell’autunno del 1948: l’uno con Il tempo si è fermato di John Farrow (padre di Mia), l’altro col capolavoro noir Le catene della colpa di Jacques Tourneur. Il primo ci ha lasciati nel 1962, il secondo soltanto nel 1997. Entrambi interpreti di razza, a volte scelti come protagonisti seppur non abbastanza spesso. Entrambi figli di un metodo recitativo ancora pre-Strasberg. Entrambi superbi caratteristi. Nel 1955 il grande evento: Laughton passa alla regia e affida a Mitchum la parte di un predicatore serial-killer. La pellicola resterà nella storia e nel 1992 sarà scelta per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Tuttavia si tratta di un insuccesso commerciale tanto che Laughton dovrà rinunciare ad ulteriori esperienze di regia.


Il predicatore Harry Powell (Robert Mitchum) – sulle nocche della mano destra le lettere LOVE, su quella della mano sinistra ovviamente HATE - divide la cella con Ben Harper (Peter Graves), condannato a morte per rapina e duplice omicidio. Questi, parlando nel sonno, lascia intendere che il bottino si trova nelle mani dei figli. Powell, il quale si trova lì per furto d’auto ma in realtà è reo di aver ucciso numerose donne allo scopo di derubarle e punirle per conto di Dio, presto è libero. Raggiunge rapidamente la città di Harper, simpatizza coi vicini e la vedova, avvicina più volte i due bambini. Ma essi hanno promesso al padre di non rivelare il nascondiglio dei soldi e per diverso tempo scampano il pericolo. Nel frattempo Powell si ambienta definitivamente nella comunità e chiede in sposa la donna, che viene da tutti incoraggiata ad accettare. Il matrimonio si fa ma non viene consumato: ben altri interessi affollano la mente dell’uomo.


L’opera prima (e unica, come accennato) di Laughton si colloca nel contesto dell’epoca maccartista con estrema creatività e sconvolgente consapevolezza. Scritto da James Agee (in seguito Premio Pulitzer) e fotografato da Stanley Cortez (lo stesso che aveva ottenuto la candidatura all’Oscar per L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles), il film è uno di quei capolavori che maturano col tempo. Non un classico, però, un’opera insperata e irripetibile che meriterebbe maggiore spazio sui manuali di storia del cinema. Se l’intreccio, la struttura narrativa, si presenta lineare fino alla compulsività è soltanto per meglio valorizzare le trovate visive d’ascendenza espressionista. Come l’illuminotecnica, spesso innaturale ma sempre giustificata sul piano drammatico o la recitazione degli attori, sempre sopra le righe, quasi a voler denunciare i vizi del mascheramento nel quotidiano. Ma ne La morte corre sul fiume si è letta anche – non a torto - un’accusa contro il fanatismo religioso di una certa America. Poco credibile, se non risibile, appare invece l’accusa di misoginia rivolta al regista da buona parte della critica. Lo stesso era accaduto in occasione dell’uscita de La Signora di Shanghai di Orson Welles (era, guarda caso, l’autunno del 1948), ma questo genere di analisi si è rivelata per molti versi datata e pretestuosa. Mitchum è straordinario, tanto apprezzato che vestirà panni simili ne Il promontorio della paura appena sette anni dopo. Gli altri interpreti non sono da meno, così come fanno buona impressione anche i giovanissimi - effettivi - protagonisti del film. Da riscoprire.


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