A vida invisivel è un'opera di difficile lettura per una certa idea di cinema basato sulle suggestioni che tenta di rappresentare. Il regista portoghese Vítor Gonçalves porta sul grande schermo il tormento interiore di un unico attore protagonista, Hugo (Filipe Duarte), che non riesce a metabolizzare la morte del suo amico Antonio (João Perry) al quale è legato da una non ben specificata, ma intuibile profonda, relazione. La storia è tutta qui. Il film scorre lento e disarmonico attraverso immagini dell'uomo alle prese con l'inventario degli oggetti che l'amico defunto ha lasciato nel suo appartamento e immagini di filmati in super 8 che Antonio prima di morire chiede a Hugo di visionare. Nei filmati scorrono altrettante noiose sequenze di elementi naturali, in cui non c'è alcun appiglio narrativo e nemmeno un elemento che sia sensato nell'economia generale della storia. Ogni tanto la visione è intervallata dalla voce fuori campo del protagonista che cerca di giustificare con poca convinzione il martirio al quale lo spettatore, inerme e incredulo, è sottoposto. Quando qualche flashback pare riportare al momento precedente alla morte di Antonio, si assiste alla messa in scena della confusione mentale del protagonista che, incontrando colleghi, medici, amici, vaga come un fantasma in uno stabile abbandonato. Il film non convince per l'assenza di una storia, di qualsiasi elemento di attrattiva e per una tecnica irrilevante - non una sequenza, un'inquadratura, un frammento di dialogo efficace. Tutto ciò che traspare è l'ombra costante della morte a lungo andare ridondante, che rimbalza dalle immagini alla voce monocorde, ai paesaggi mostrati, spogliati di ogni vitalità. Vítor Gonçalves dopo più di vent'anni da Midnight e A Girl In Summer dirige un rompicapo sull'inadeguatezza e sul male di vivere che avrebbe bisogno di essere rinfrescato, come la piazza che infinite volte inquadra e che sta per essere ripavimentata. Persino la fotografia, con la scelta di toni cupi, impatta negativamente sulla qualità delle immagini già provate da location fatiscenti e per la totale assenza di un qualsiasi soggetto interessante. A vida invisivel rappresenta il classico esempio di cinema autoreferenziale e chiuso in se stesso. Non si tratta di complessità, di difficile fruizione. È un lavoro asfittico, ripetitivo che non presenta alcun elemento di novità. Un film che però riesce in un miracolo: rendere persino apprezzabile un finale banale come la dissolvenza dell'immagine del co-protagonista sullo schermo, che viene accolta con grande entusiasmo da spettatori agonizzanti.