Chayo (Margarita Saldaña) fa ritorno a Xochimilco, suo paese natale, per badare alla madre malata. Circondata dall'amore familiare e dai meravigliosi paesaggi naturali che riempiono di luce le loro giornate, comprenderà dopo la visita del medico che la madre sta bene: ha scelto di lasciarsi morire. Sopprimere il dolore è un compito impegnativo, specialmente se coincide con il lento declino fisico e mentale di una donna che ha smesso di lottare per la sopravvivenza. Chayo tuttavia è pronta a ricominciare, con un paio di scarpe nuove e con la mente sgombra dai sensi di colpa. Con Mai morire, la cui dilatazione del tempo catalizza riflessioni di tipo etico e religioso, Enrique Rivero mette al servizio della macchina da presa la sua sensibilità di autore e di figlio – ha deciso di girare il film dopo la perdita della madre – per raccontare una storia che interpella la morte come scelta per garantire il naturale flusso della vita. Il linguaggio adottato dal regista è il silenzio: fa sì che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme sconsolata malinconia – scriveva Erich Maria Remarque. Pur conoscendo i rituali della cultura messicana, Chayo è un personaggio che non può esistere al di fuori del suo luogo natale, nel quale l'elaborazione del lutto avviene in coinciliazione con la natura, attraverso simbologie e richiami spirituali che richiedono una certa predisposizione per essere comprese. L'attesa è il personaggio secondario con il quale si confronteranno madre e figlia nella splendida sequenza che anticipa il finale, quando il respiro affannato della genitrice perderà di intensità fino a decretarne la cessazione delle funzioni vitali. L'inquadratura fissa sulle donne – una distesa sul letto, l'altra non ancora rassegnata – opera una toccante sintesi emozionale sublimata dalla suggestiva fotografia di Arnau Valls Colomer, vincitore del premio per il miglior contributo tecnico al Festival di Roma. Mai morire è l'esperienza cinematografica più straniante e al contempo viscerale degli ultimi anni; intima e originale, poichè il regista adotta un inedito punto di vista, in particolare nelle soluzioni registiche circolari (l'arrivo di Chayo a Xochimilco in barca) che assurgono a metafora di vita. Ed è questo il suo più grande pregio nonché il suo più grande limite: non riuscire a mediare tra culture diverse e previsioni esistenziali che trascendono la finitezza dell'uomo. Se la carne si deteriora, lo spirito continua il suo viaggio.