Nella Londra d'inizio '800 i quartieri popolari sono in fermento per lo spettacolo della Venere Ottentotta, come reca l'insegna dell'entrata. I lineamenti anomali e le fattezze marcate della giovane donna sono tra i pregiati prodotti d'importazione del prossimo colonialismo sudafricano, verso un nuovo crogiolo razziale. Con il rinnovamento positivistico della società civile e l'impulso impellente di ridisegnare i cardini morali del progresso, il confine tra libertà e schiavitù appare sempre più sfocato, per la legge così come per la scienza. In egual misura lo è per le scelte dell’individuo; l’ultimo in ordine di tempo a capire i reali valori del cambiamento. Tratto da un episodio storico che vede una protagonista realmente esistita, la scelta degli autori si è focalizzata sulla ricostruzione ad alta fedeltà; dando un’impronta sociale agli scenari del XVIII secolo che vanno via via a delinearsi dietro le percezioni della donna. L'assenza accentuata di spettacolarizzazione richiama il biopic documentaristico, più che l’impostazione storica romanzata. Ne sono testimoni le due ore e mezzo di riprese, volte a garantire naturalezza e spegnere ogni lampo di frenesia. Le diverse scene sono spesso molto lunghe e si intravede il tentativo di analizzare costantemente le ambigue ripercussioni emotive sullo sguardo e i gesti della protagonista; immersa in un mondo a lei sconosciuto, ma che rappresenta l'unica via di emancipazione in cambio di un prezzo sempre più alto. Manca l'empatia ricercata e forzata col pubblico; tutto è affidato a un crudo realismo progressivo, come se le strade dei sobborghi londinesi o le stanze dell'aristocrazia francese dell'epoca fossero raggiunte dall'occhio delle cineprese moderne. Non trascurabile il fatto che gli interpreti siano perlopiù sconosciuti, quasi a voler trasmettere un sottile distacco che immerga a pieno lo spettatore nel divenire storico: più complesso con attori facilmente riconoscibili ai più, per quanto capaci. Davvero apprezzabile lo sforzo nel ricreare ambienti, atmosfere e peculiarità ottocentesche, che non hanno nulla da invidiare al miglior film di costume. Visto il genere cui appartiene, lo stile di Abdellatif Kechiche si conferma nel tentativo di continua ricerca verso un post realismo che fonde i principi canonici con una forma più innovativa e complessa, grazie all'arricchimento della profondità espressiva attorno a dettagli spesso trascurati. In questo, l'autore si conferma certamente maestro - ormai una realtà del panorama internazionale. Determinante è stata la parte molto convincente recitata dagli interpreti; completamente a proprio agio nel vestire i panni dei personaggi del tempo, anche considerato l'alto coefficiente di difficoltà a cui sono stati sottoposti dalle inquadrature asfissianti del regista. È un peccato che certi limiti strutturali restino invalicabili persino per le sperimentazioni dell'egregio cineasta tunisino. Senza fiammate memorabili – la cui assenza è necessaria per mantenere la purezza storica – si fa fatica a mantenere lo sguardo vigile (che meriterebbe la pellicola) per tutti gli interminabili minuti del film, davvero eccessivi e a tratti ridondanti.