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In the Name of the King

22/03/2009 12:00

Luca Provenzano

Recensione Film,

In the Name of the King

Farmer (Jason Sthatam) è all’apparenza un semplice contadino, dedito soltanto alla cura della terra, della splendida moglie Solana (Claire Forlani), e del loro

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Farmer (Jason Sthatam) è all’apparenza un semplice contadino, dedito soltanto alla cura della terra, della splendida moglie Solana (Claire Forlani), e del loro vispo figlioletto. Un infausto dì però l’idillio rurale viene bruscamente infranto dall’arrivo dei Krug, decerebrati umanoidi al servizio del potente mago Gillian (Ray Liotta), intenzionato a sovvertire la reggenza di re Konrad (Burt Reynolds) ed estendere il suo oscuro giogo su tutto il mondo conosciuto. Messo alle strette, il nostro eroe sarà così costretto ad accantonare la zappa e a passare alle maniera forti imbarcandosi con una pletora di insignificanti e dimenticabili figuri, in un avventura ricca di clichè e sbadigli fino all’immancabile e liberatorio duello finale.


Uwe Boll ha indubbiamente un dono; o perlomeno possiede un abilità unica nel suo genere. Non deve essere stato facile infatti, con 60 milioni di budget a disposizione e un cast di assoluto livello mondiale, riuscire a sfornare un film di tale insipienza e banalità come questo In The Name of The King. Il teutonico visionario però, tenendo fede alla nomea di peggior regista del mondo, titolo ormai riconosciutogli all’unanimità dalla critica specializzata, è riuscito anche questa volta a superare se stesso, sfornando una pellicola degna del miglior Fantaghirò d’annata, riportando il genere fantasy (dopo il balzo rigenerante della trilogia tolkieniana) indietro d’una ventina di anni. Sono tante e tali le storture presenti nell’orrorifica pellicola di Boll che farne l’elenco sarebbe proibitivo quanto superfluo. Dalla pedestre incuria risposta nei costumi e negli effetti speciali, con i Krug usciti da una puntata a caso dei Power Rangers, alla totale mancanza di coerenza storica e stilistica, con ninja ad appaiarsi a guerrieri a cavallo e duelli all’arma bianca a lasciare il posto ad improbabili mosse di kung-fu, fino agli imbarazzanti quanto deprimenti calci volanti. E’ un circo quello messo in piedi dal regista tedesco che lascia a bocca aperta per l’opprimente pressappochismo e l’offensiva stupidità reiterata senza soluzione di continuità per tutti i 124 minuti di pellicola. Un B-Movie in piena regola, sul quale però pesa l’abnorme aggravante di uno spropositato budget impiegato non si sa come e la pessima gestione di un gruppo di attori di sicuro e accertato talento.


Uwe Boll è ormai entrato nella leggenda. Come Re Mida nell’antichità trasformava tutto quello su cui posava mano in luccicante oro, il teutonico filmaker ha invece dalla sua la meno regale abilità di trasformare l’oro in leghe e composti di aspetto e valore scadenti. L’augurio e che qualcuno prima o poi si accorga di questo equivoco e metta regista europeo al posto che gli compete, ovvero in platea.


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