Istiga alla pedopornografia. Sessualizza le pre-adolescenti. Sono solo alcune delle feroci critiche provenienti da un movimento di protesta nato su Twitter, che ha creato l'hastag #cancelNetflix, costato 9 miliardi di dollari di azioni in 24 ore al colosso dello streaming, in seguito dell'uscita di Mignonnes (il titolo italiano, Donne ai primi passi, è fuorviante e inopportuno, forse la sola cosa degna di "polemica") sulla piattaforma. La domanda - lecita - che chiunque si è fatto in seguito a queste proteste è quindi: il film incita davvero alla pedopornografia? La risposta è no, nel modo più categorico. Mignonnes pone la lente d'ingrandimento su una fascia d'età sensibile, esattamente come hanno fatto molti altri film prima.
Thirteen - 13 anni, film del 2003, parla delle trasgressioni di due tredicenni tra furti, droga, fumo, alcol, sesso, bugie, risse e piercing. Ha scandalizzato? All'epoca sì. La sua regista Catherine Hardwicke è stata messa alla gogna? Solo se consideriamo la regia di Twilight come una punizione. Poi ci sono i film di Larry Clark. Kids: una giornata passata a seguire un gruppo di ragazzini che crescono nelle zone più becere di New York, tra sesso, droghe, AIDS, pestaggi, furti e persino un linciaggio. Oppure Ken Park, presentato nel 2002 a Venezia, che ruota in larga misura attorno al sesso adolescenziale nelle sue forme più estreme. E poi c’è Tulsa, che non è un film, ma il primo portfolio fotografico di Larry Clark datato 1971 (faceva il fotografo prima del regista) al cui interno vi è la foto di una ragazza minorenne, incinta, che si droga.
Se guardiamo in Italia, nel 1977 troviamo Maladolescenza di Pier Giuseppe Murgia, in cui due undicenni e un diciassettenne compaiono sullo schermo in nudi integrali e hanno rapporti sessuali. In confronto a questi film, le polemiche sulla sessualizzazione delle protagoniste di Mignonnes fa quasi sorridere. Rivolte post-visione, poi, le accuse sfiorano l’assurdo.
Accusare Mignonnes di pedopornografia vuol dire non aver compreso nulla del vero messaggio del film.
La regista è la francese Maïmouna Doucouré, figlia di immigrati senegalesi, cresciuta in una famiglia poligama, religiosa e molto conservatrice. Per il suo esordio dietro la macchina da presa ha scelto di raccontare una storia quasi autobiografica (Mignonnes le è valso il premio di miglior regista al Sundance) in cui una ragazzina undicenne con il suo medesimo vissuto si scontra con un mondo totalmente diverso dal suo, nel quale è bramosa d'integrarsi. E la via più facile per l'integrazione è quella di sessualizzarsi, attirando così l'attenzione dei propri coetanei e diventando popolare. Una sessualizzazione lontanissima dalla visione "adulta" che le è stata attribuita: basti pensare alla scena in cui le protagoniste parlano di sesso, un dialogo che racchiude tutta la loro confusione verso quel mondo, com'è giusto che sia a undici anni.
La protagonista Amy ha una famiglia complicata, che la sovraccarica di compiti per tenerla occupata anziché prestare attenzione ai suoi bisogni. La ragazza prende allora a modello questo gruppo di ballerine, perché ammaliata dalla loro popolarità. Le Minionnes, a loro volta, hanno a modello loro coetanee che spopolano sui social, da TikTok a Youtube.
Non c'è nessun sottotesto sessuale, pedofilo o pornografico, solo la fotografia di uno spaccato della nostra società.
La connotazione sessuale viene data dall'adulto, che nel film (la scena con le guardie, che preferiscono fare andare via le ragazze per evitare grattacapi; la giuria del concorso finale che resta esterrefatta) viene disgustato dai balletti promiscui delle protagoniste. Tutti noi sappiamo che esiste nella società ciò che il film ci sbatte in faccia a chiare lettere: ci disdegna, ci indigna e ci fa montare la polemica sui social; ma è più comodo chiedere a Netflix di rimuovere il film dal catalogo, piuttosto che affrontare il vero problema. Tacciamo Mignonnes di pedofilia perché ci sono delle ragazzine undicenni che twerkano, anziché guardare il film e capire come mai lo fanno. Quali sono i meccanismi che spingono una bambina a sessualizzarsi e a imitare sue coetanee che fanno lo stesso sui social, seguite da milioni di follower (quelli sì pedofili!) mentre imitano i balletti di qualche diva del pop.
L'ennesima ipocrisia di una società che preferisce nascondere il marcio che la infesta, piuttosto che affrontarlo. Un'ultima domanda: perché Mignonnes dove ragazzine undicenni ballano e si vestono come cantanti di un videoclip pop ha scandalizzato, mentre Little Miss Sunshine dove bambine ancor più piccole (Abigail Breslin aveva 9 anni durante le riprese) sfilano in costume da bagno o con vestiti di donna, no? Perché quella era una commedia tanto indie e carina? Se ci pensate, in fondo in fondo, portano sullo schermo il medesimo concetto distorto: la fretta di diventare adulti.
Genere: drammatico
Titolo originale: Mignonnes
Paese/Anno: Francia, 2020
Regia: Maïmouna Doucouré
Sceneggiatura: Maïmouna Doucouré
Fotografia: Yann Maritaud
Montaggio: Stéphane Mazalaigue, Mathilde Van de Moortel
Interpreti: Fathia Youssouf, Médina El Aidi-Azouni, Esther Gohourou, Ilanah Cami-Goursolas, Myriam Hamma, Maimouna Gueye, Thérèse M'Bissine Diop, Demba Diaw, Mamadou Samaké
Colonna sonora: Nicolas Nocchi
Produzione: Bien Ou Bien Productions
Distribuzione: Netflix
Durata: 96'