Il solo far parte della (pur nutrita) filmografia di Yasujirō Ozu garantisce ad un film una buona serie di spunti d'interesse; nel caso di questo Giorni perduti il discorso assume anche valenza retroattiva: dato che ci troviamo di fronte al più antico film di Ozu sopravvissuto e giunto integro ai giorni nostri (mentre degli altri lungometraggi girati negli anni Venti ci rimangono frammenti sparsi), Giorni perduti può tornarci utile nella (ri)definizione, per quanto incerta, del percorso artistico di un cineasta che di lì a dieci anni avrebbe girato Figlio unico e Fratelli e sorelle della famiglia Toda, per tacere dei film del dopoguerra. Ancora distante dai capolavori della maturità, quindi, Ozu si trova ad ammiccare piuttosto a certi modelli reperibili oltreoceano; così, se qui il tono può ritenersi analogo a quello delle commedie à la Ernst Lubitsch (ma il personaggio di Shuichi non può non ricordare Harold Lloyd), ci troviamo di fronte a tematiche, tratteggio dei personaggi ed espedienti narrativi che negli anni seguenti sarebbero stati trattati con ben altro rigore. Bin e Shuichi sono due studenti. Sospesi fra la paura degli esami e il desiderio di vacanze sulla neve, i due finiscono per corteggiare - senza saperlo - la stessa ragazza. Denaro, professori, esami, vacanze e l'amore, naturalmente: le vicende e le propezie che animano le vite di due studenti Bin (Yuki Ichiro) e Shuichi (Satō Tatsuo) vengono quindi raccontate con spirito lieve, frequenti concessioni slapstick e con quei frequenti movimenti di macchina cui Ozu, più in là, deciderà di rinunciare. Aguzzando la vista, in ogni caso, è anche possibile individuare alcuni elementi di raccordo col suo cinema successivo: l'attenzione, per quanto ridotta ai minimi termini, al rapporto del personaggio con suo contesto (importante la collaborazione con Akira Fushimi alla sceneggiatura in questo caso: i successivi Anche se non sono riuscito a laurearmi e Sono nato, ma... approfondiranno questo rapporto con maggior puntualità), lo sguardo quasi analitico che contraddistingue le scene girate in interni, la presenza dei treni (una costante nel cinema di Ozu, come rimarca anche Wim Wenders nel suo Tokyo Ga). Cinema d'altri tempi, cinema muto che spesso rischia di subire il peso della propria età: perché se per i motivi sopraelencati si tratta di un film imprescindibile per completisti e cultori di Ozu, allo sguardo più disinteressato dello spettatore casuale Giorni perduti apparirà come un film leggero - quando non frivolo - e compassato ma, soprattutto, fondalmentalmente innocuo.