Nel tempo Sean Penn ci ha abituato alle sue capacità trasformistiche, passando per talmente tanti ruoli da poter perdere il conto. Quello che effettivamente mancava - e che a quasi 55 anni onestamente non ci si aspettava di vedere - era uno Sean Penn in versione palestrata, pronto a menar le mani e a utilizzare armi come neanche Silvester Stallone ne I Mercenari. A prescindere da questa inaspettata caratterizzazione di un perfetto protagonista che, per il resto, attraverso i noti malinconici occhi riesce perfettamente a rendere il tormento del rimorso e dei rimpianti, The Gunman è fondamentalmente un action thriller onesto, realizzato da quello stesso Pierre Morel che già era riuscito a trasformare Liam Neeson in una macchina per uccidere, algida e determinata, con Taken - Io vi troverò. Jim Terrier (Sean Penn) è un mercenario che, sotto la copertura della difesa di una ONG in Congo, opera per una multinazionale del settore minerario. Il lavoro si svolge in relativa tranquillità e Jim, che ha addirittura trovato l’amore in Annie (Jasmine Trinca), sembra essere una persona felice. Almeno fino al nuovo incarico, comunicato per tramite dell’ambiguo Felix (Javier Bardem): uccidere un importante uomo politico e sparire. E anni dopo, Jim si troverà a fare i conti con gli spettri di questo ingombrante passato. Un thriller classico, senza particolari colpi di testa o evoluzioni inaspettate: The Gunman fonde azione e dialoghi in una prevedibile alternanza, con personaggi - interpretati efficacemente da un cast di qualità - che rispondono in modo credibile alle situazioni di forte stress alle quali sono sottoposti. Pur senza brillare per nessun aspetto particolare (e anzi lasciando inizialmente forse un po’ perplessi per come si indugia sui muscoli tirati di Sean Penn, per il quale è prevista addirittura una scena da surfista), il film scorre senza particolari intoppi e intrattiene fino allo scontato epilogo. Per una costruzione che in linea generale risulta canonica, ci sono alcuni aspetti che colpiscono positivamente, come la scelta di ambientare buona parte del film fra Londra e Barcellona (oltre che in Africa), aprendo a scenari originali le classiche situazioni hollywoodiane. Un po’ stantio risulta invece l’afflato umanitario che anima in parte il film: sebbene sia sicuramente meritorio il voler mettere sotto i riflettori la tragedia del Congo e i meccanismi di sfruttamento a opera delle multinazionali, nel complesso, almeno rispetto a quanto il film è tarato sul vissuto di Terrier e sul rapporto diretto con Annie, diventa palese che siamo di fronte a una “questione personale” molto più che uno scontro di ideali o di principi.