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La danza della realtà

24/11/2014 12:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

La danza della realtà

Il piccolo Alejandro cresce nella merceria del padre Jaime, uomo duro e accanito sostenitore di Stalin...

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Il piccolo Alejandro cresce nella merceria del padre Jaime, uomo duro e accanito sostenitore di Stalin. Quando il genitore, fermo oppositore del regime di destra del presidente Carlos Ibáñez del Campo, pianifica di compiere un attentato proprio ai danni del suddetto, il piccolo Alejandro rimane con la madre, in attesa del ritorno paterno. Jaime intanto riesce a farsi assumere come stalliere personale di Bucephalus, l'amato cavallo del dittatore, ma il suo piano non funziona come aveva previsto...


Mancava al cinema lo sguardo surreale di un autentico maestro come Alejandro Jodorowsky. Ventitre anni (ancora di più considerando che il suo titolo precedente, Il ladro dell'arcobaleno, era il più debole della sua breve ma gloriosa filmografia) di assenza che però hanno restituito l'autore cileno in splendida forma con un'opera fortemente autobiografica, ben intrisa di tutta l'allucinazione apprezzata in capolavori come La montagna sacra, El topo e Santa sangre. Con una scrittura magicamente onirica (ben trasposta dal suo omonimo romanzo da cui è tratta la pellicola) tra dolore e tenerezza, violenza e riscatto, Jodorowsky ripercorre la propria infanzia e la storia del proprio paese attraverso un percorso familiare che sfiora il paradosso: a vestire i panni del padre Jaime è infatti Brontis Jodorowsky, il figlio di Alejandro, a sugellare nel migliore dei modi la chiusura del cerchio.


La danza della realtà nelle oltre due ore di visione riconduce lo spettatore a personaggi e suggestioni cardini del cinema jodorowskiano. A cominciare dai nani e i mutilati, si ritrovano figure da sempre presenti nel suo cinema, qui però amalgamati in un contesto più ampio che, a dispetto di riuscite trasfigurazioni, metaforiche e non, riprende con una certa crudezza la realtà di quegli anni, non nascondendo seppur senza mai eccedere la violenza del regime e delle ideologie più estreme, di qualsiasi colore politico esse siano. Se in un primo momento si può pensare che sia il piccolo Alejandro il protagonista del racconto (con tanto di "presenza" dello stesso Jodorowski come apparizione protettrice del suo giovane se stesso) già da metà si intuisce come in realtà sia il personaggio del padre la chiave di lettura per raccontare il periodo e i mutamenti sociali. Con caratterizzazioni che virano su un contenuto e intelligente macchiettismo (su tutte la madre Sara, che parla cantando con voce da soprano per tutto il film) e divagazioni narrative immaginarie (il padre, pur volendolo, non aveva mai progettato l'assassionio del presidente) Jodorowsky dipinge un raffinato ed eccentrico affresco dedicato ai suoi genitori dove mette in scena i loro sogni e le loro speranze. Tra un barocchismo eccentrico e visionario che ben si amalgama ad una regia sobria e priva di facili orpelli estetici, La danza della realtà ammalia e commuove ponendosi come opera libera da vincoli di sorta, istintiva e fresca come la personalità del suo autore, sperando che segni il definitivo ritorno sulle scene di un maestro mai troppo lodato.


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