Ad Hollywood la passione per i film catastrofici non è mai mancata. Tra guerre nucleari, terremoti e disastri aerei la gallina dalle uova d’oro è ora rappresentata dal cambiamento climatico e da tutto il rosario di disastri che ne consegue, dalle glaciazioni alle alluvioni fino agli tsunami. Disastri di questo genere sono ormai talmente di casa sul grande schermo che è stato coniato un termine per definirli: cli-fi movies. Il disastro naturale con cui si cimenta Steven Quale (Final Destination 5), noto ai più per aver collaborato più volte con James Cameron, in particolare per Avatar, è il tornado. Un gruppo di storm-chasers capitanati da Pete (Matt Walsh) approda a Silverton seguendo le indicazioni della scienziata Allison Stone (Sarah Wayne Callies): si troveranno di fronte a una tempesta apocalittica che non risparmierà niente e nessuno e costringerà Gary Morris (Richard Armitage), vice-preside di un liceo, e suo figlio Trey (Nathan Kress) a unirsi alla spedizione per salvare Jacob (Jeremy Sumpter). Basare un film sulla portata degli effetti speciali e della computer grafica non potrà mai portare a risultati soddisfacenti e Into the storm ne è la conferma: la trama è labile e insulsa, i personaggi non lasciano minimamente il segno e ciò che accade per più di un’ora è scontato e mai accattivante. Richard Armitage costretto a recitare il classico ruolo del padre tutto lavoro (che non ha mai tempo per i figli ma appena li vede minacciati diventa un leone senza paura), Pete ossessionato dalla sua missione si riscatterà nel momento del bisogno, Trey e Jacob si sentono trascurati dal padre ma dimostreranno davanti ai suoi occhi di che pasta sono fatti. Steven Quale prova a risollevare gli ultimi venti minuti del film con l’arrivo del maxi tornado che rischia di spazzare via ogni cosa: senza dubbio l’impatto visivo è impressionante, l’azione diventa finalmente vibrante e, senza tempi morti, ci si gode un po’ di azione. Nonostante alcune trovate divertenti (il volo di Pete all’interno della macchina), è davvero troppo poco per poter rivalutare il film. Visitata la morale di fondo (le difficoltà che rafforzano e fanno uscire il lato migliore delle persone, la tragedia come punto di partenza per un nuovo inizio, l’eroismo delle persone comuni), banali i personaggi e la sceneggiatura (il coltellino, i messaggi registrati per il futuro come in Cloverfield), insopportabili le bandiere americane stracciate che garriscono al vento alla fine del disastro, totalmente inutili i due personaggi a caccia di click su You Tube.