Terremoto nel Bronx è il film che ha lanciato la stella di Jackie Chan ad Hollywwod. La perfetta forma fisica raggiunta dal suo interprete gli ha permesso di strafare in ogni sequenza: nei salti impossibili - tra un palazzo e l'altro - o nelle lunghissime e interattive coreografie, le quali fanno apparire gli attori dei ballerini professionisti tanto sono sincronizzati nei gesti e nelle movenze. Ma non è soltanto suo il merito di tale successo: la regia di Stanley Tong possiede molte qualità, sebbene tutte convergono nell'estetica dell'azione: spontanea, divertente, repentina, originale. In precedenza, le pellicole interpretate da Jackie Chan - non avendo pretese realistiche - miscelano gli stilemi classici del cinema d'azione made in Hong Kong con la dirompente frenesia delle arti marziali. I risultati molto spesso hanno portato alla creazione di film d'azione insipidi; Tong al contrario è riuscito laddove molti altri registi hanno fallito, vale a dire nel formulare il mix perfetto di ritmo, azione e autoironia in un compatto e smaliziato schema narrativo. Il giovane Keung, mirabile poliziotto di Hong Kong, giunge nel Bronx per assistere alle nozze dello zio Bill. Durante la sua permanenza americana, la nuova titolare del negozio (gestito in precedenza dallo zio) viene attaccata da una gang senza scrupoli, ma il veloce intervento di Keung ristabilizza la situazione. La strada però non perdona, tanto che il giorno dopo Keung ne paga le coseguenze. Questa lotta ad armi impari (uno contro tutti) è lo sfogo ideato dagli sceneggiatori Edward Tang e Fibe Ma contro una società meschina e indelicata, la quale rimane impassibile dinnanzi al bisogno dei singoli cittadini. Il nemico fronteggiato da Keung è la prevaricazione dei potenti; l'infelice supponenza con la quale condiscono i loro dialoghi, vaghi e vacui. Jackie Chan difatti, si mostra meno autoironico del previsto, ispirandosi come per rispetto agli eroi cinematografici americani ed evitando accuratamente un approccio troppo freddo e distaccato che ha reso celebri Arnold Schwarzenegger e Jean Claude Van-Damme. Il film elargisce così brevi ma divertenti siparietti comici che si alternano a spettacolari inseguimenti a piedi. Se per definizione con il termine azione si intende subdolo intrattenimento percettivo, la cultura occidentale mette tutto in discussione avvalorando la tesi secondo la quale sia la gestione della propria arte a rende un processo creativo adatto a qualsiasi palato. Così, nell'ottica dell'integrazione culturale, il mezzo cinematografico si impone in prima linea regalando allo spettatore occidentale qualcosa in più: non banale intrattenimento plastico bensì un raro esempio di cinema d'azione (ironico) di qualità.