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C’eravamo tanto amati (1974), la recensione del film di Ettore Scola: una pietra miliare del cinema italiano

10/05/2021 12:11

Marcello Perucca

Recensione Film, Film Commedia, Aldo Fabrizi, Film Italia, Stefania sandrelli, Furio Scarpelli, Ettore Scola, Age, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Giovanna Ralli,

C’eravamo tanto amati (1974), la recensione del film di Ettore Scola: una pietra miliare del cinema italiano

A vederlo oggi, a quasi 50 anni di distanza, il film di Scola non mostra affatto il segno del tempo, mantenendo freschezza e attualità

Se fosse ancora vivo, Ettore Scola, fra i più stimati registi italiani, compirebbe nel 2021 90 anni. Era infatti nato a Trevico, in provincia di Avellino, il 10 maggio 1931. Purtroppo se ne è andato nel 2016, lasciando un grande vuoto negli appassionati di cinema e in tutti coloro che hanno apprezzato e amato i suoi film, specchio di una nazione e di un popolo descritti, spesso, con spirito critico ma sempre con una grande dose di ironia.

 

Fra le sue numerose pellicole (nel corso della sua carriera ha realizzato una trentina di lungometraggi, partecipando a una quantità infinita di sceneggiature), una delle più rappresentative e apprezzate è, senza dubbio, C’eravamo tanto amati (1974), grande affresco di un paese e della sua storia, dalla guerra partigiana sino alla metà degli anni Settanta.

Con un cast d’eccezione (Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Nino Manfredi, Stefano Satta Flores, Aldo Fabrizi, Giovanna Ralli), C’eravamo tanto amati non è solo un film che descrive il “come eravamo” di un popolo che, faticosamente, stava uscendo dalle tenebre nelle quali era sprofondato dopo il fascismo e una guerra devastante. È soprattutto un film che parla di una nazione intera, del suo percorso di crescita, della sua forza e delle sue debolezze. Un’opera che parla di noi, delle nostre speranze andate spesso deluse, dei rimpianti e dei compromessi ai quali ci si è dovuti piegare nel corso del tempo.

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A vederlo oggi, a quasi cinquant’anni di distanza, il film di Scola non mostra affatto il segno del tempo, mantenendo la freschezza e l’attualità che ne fanno un caposaldo della nostra cinematografia, indispensabile per comprendere l’Italia e gli italiani non solo di ieri ma, anche, di oggi. C’eravamo tanto amati è un film corale nel quale ciascuno è in grado di specchiarsi e ritrovarsi. Un’opera nella quale, partendo dalla Resistenza e passando per il periodo della ricostruzione, del boom economico e poi della crisi degli anni Settanta, è pressante il tema della memoria collettiva.

 

La storia si sviluppa completamente in flashback, fra due scene che si ripetono, identiche, all’inizio e alla fine del film. In mezzo scorrono trent’anni di vita di tre amici e della donna della quale, nel corso del tempo, tutti e tre si sono innamorati.

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Antonio (Nino Manfredi), Gianni (Vittorio Gassman) e Nicola (Stefano Satta Flores) si sono conosciuti e hanno consolidato la loro amicizia in montagna, al tempo della Resistenza.

Poi, finita la guerra, ciascuno di loro ha ripreso il normale corso della propria vita. Antonio, rientrato a Roma, è tornato al suo lavoro di barelliere in ospedale. Gianni, laureatosi in giurisprudenza, ha iniziato il praticantato presso uno studio legale. Nicola, appassionato cinefilo, è diventato professore di liceo a Nocera Inferiore, suo luogo natio.

Si tratta di tre personaggi esemplificativi di un intero popolo. Antonio è il comunista puro; un uomo del popolo che non si piega e che paga di persona la sua integrità morale. Al contrario il socialista Gianni non esita a rinnegare i propri ideali. Abiurando alle proprie idee sposa, per opportunismo, Elide (Giovanna Ralli), figlia di un palazzinaro fascista (Aldo Fabrizi) grazie al quale ottiene ricchezza e potere. Il personaggio di Gianni è sicuramente il più complesso e controverso dei tre. È lui che pronuncia una delle frasi più significative di tutto il film domandandosi: «Saremo onesti o felici?». Ammettendo, così, che onestà e felicità non potranno mai andare a braccetto e decretando, allo stesso tempo, la propria solitudine.

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È tratteggiando la figura di Gianni che gli sceneggiatori Age & Scarpelli e lo stesso Scola hanno avuto una sorta di amara previsione, anticipando di qualche anno la deriva che avrebbe intrapreso il Psi con l’avvento alla guida del partito di Bettino Craxi e, successivamente, con l’adesione di molti socialisti al berlusconismo.

Infine Nicola, l’intellettuale del gruppo, rappresenta tutto ciò che si muove alla sinistra del Pci. Come tutta quella parte di sinistra della quale si fa metafora, possiede una forte tendenza all’autoisolamento e all’autodistruzione che lo porterà ad abbandonare la famiglia, finendo a scrivere recensioni cinematografiche firmandosi “Vice”. Nicola è un vinto, così come lo è tutta la sinistra incapace di capire un paese sempre più cinico, ipocrita e opportunista. Egli rappresenta il totale scollamento fra gli intellettuali e il popolo e ammette la propria sconfitta nel momento in cui pronuncia una delle frasi chiave del film: «Credevamo di poter cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato noi».

A fare da trait d’union fra i tre amici, che per molti anni si perderanno di vista per poi ritrovarsi nella parte finale del film, c’è Luciana (Stefania Sandrelli), la donna che in tempi e con modi diversi ha avuto una relazione con tutti loro. Luciana è una donna forte, moderna. Che non si fa scegliere ma che, al contrario, vuole scegliere. È una bella figura quella di Luciana, metafora di un paese che vede nel popolo - rappresentato da Antonio - la possibilità di risollevarsi dopo la catastrofe della guerra, lasciandosi poi attrarre dal capitalismo feroce e arrivista di Gianni e strizzando l’occhio agli intellettuali rappresentati da Nicola.

 

Alla fine, però, sceglierà come compagno di vita proprio Antonio, fra i tre il più genuino, magari il più ingenuo, ma sicuramente quello che mantiene intatta la propria dignità, non rinunciando mai alle proprie idee, pur vedendo, con amarezza, i sogni e gli ideali infrangersi di fronte alla deriva intrapresa dalla società che ha permesso che i valori che avevano caratterizzato la lotta partigiana andassero, ben presto, perduti.

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C’eravamo tanto amati è anche un film sul cinema, con numerosi richiami alla Settima Arte e un evidente omaggio al Neorealismo.

 

Nel corso del film si assiste a uno degli ultimi interventi in pubblico di Vittorio De Sica, che morirà poco dopo, e al quale Scola ha dedicato la pellicola. Compaiono Fellini e Mastroianni nella ricostruzione del set della scena della fontana di Trevi in La Dolce Vita. Si osservano scene tratte da L’eclisse di Michelangelo Antonioni e Ladri di biciclette dello stesso De Sica. Proprio Nicola, grande conoscitore e appassionato del regista di Sora, partecipa a Lascia e Raddoppia rispondendo a domande su De Sica.

 

E quando Mike Bongiorno, alla domanda finale che potrebbe incoronarlo campione, gli chiede il motivo per cui Bruno Ricci, il piccolo protagonista di Ladri di biciclette, si mette a piangere, Nicola risponderà citando lo stratagemma con cui De Sica aveva indotto il pianto in Enzo Staiola, il piccolo attore, anziché spiegare il motivo delle lacrime del personaggio interpretato. Dimostrandosi così incapace di separare il filmico dal profilmico e stigmatizzando una certa critica inadeguata a immedesimarsi nel normale fruitore di cinema e incapace di discernere la differenza fra realtà e rappresentazione.

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C’eravamo tanto amati è una commedia dolce e amara, intrisa della malinconia che deriva dalla consapevolezza che i sogni sono rimasti tali, evaporati nel lento corso della vita. Un gioiello della nostra cinematografia reso tale da un mix di fattori.

 

La regia perfetta, che utilizza vari accorgimenti quali, ad esempio, i numerosi flashback in cui le scene del passato sono girate in bianco e nero mentre il presente è visto a colori (bellissima la scena in cui, in una piazza deserta ripresa dall’alto, il disegno di un madonnaro vira lentamente dal bianco e nero al colore, segnando il passaggio dal passato al presente). O, ancora, quello di rendere i personaggi allo stesso tempo interpreti della storia e narratori di sé stessi. Una sceneggiatura che cesella ogni dialogo e ogni situazione rendendo il racconto scorrevole come un meccanismo perfettamente oliato.

L’interpretazione magistrale degli attori, dai più grandi ai numerosi e validissimi comprimari e, infine, la musica di Armando Trovajoli che suggella, con una perfetta miscellanea di romanticismo e canti partigiani (il bellissimo pezzo E io ero Sandokan), un film da vedere e da rivedere per non scordare mai chi eravamo, per comprendere chi siamo e, soprattutto, cosa siamo diventati. Una pietra miliare del nostro cinema amato anche all’estero tanto che, quando il film uscì in Francia, rimase in programmazione due lunghi anni.


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Genere: commedia, drammatico

Titolo originale: C'eravamo tanto amati

Paese, Anno: Italia, 1974

Regia: Ettore Scola

Sceneggiatura: Age, Ettore Scola, Furio Scarpelli

Fotografia: Claudio Cirillo

Montaggio: Raimondo Crociani

Interpreti: Aldo Fabrizi, Elena Fabrizi, Federico Fellini, Giovanna Ralli, Isa Barzizza, Luciano Bonanni, Marcello Mastroianni, Mike Bongiorno, Nello Meniconi, Nino Manfredi, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores, Ugo Gregoretti, Vittorio Gassman

Colonna sonora: Armando Trovajoli

Produzione: Dean Film, Delta Film, La Deantir

Distribuzione: Delta

Durata: 124'

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