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Bird (2024), la recensione del film di Andrea Arnold con Barry Keoghan

09/05/2025 14:00

Ivan Antonov

Recensione Film, Film Drammatico, Andrea Arnold, Barry Keoghan, Franz Rogowski, Film Regno Unito, Film Francia,

Bird (2024), la recensione del film di Andrea Arnold con Barry Keoghan

Bird è un film che fin dall’inizio parla di quello che non c’è, di quello che manca.

Bailey ha dodici anni ma non se li sente. Bailey ha una madre ma non abita con lei. Bailey ha un padre ma è preso da altre cose. Bird è un film che fin dall’inizio parla di quello che non c’è, di quello che manca e di ciò che deve essere ri-scoperto.

Di che cosa parla Bird

Il nuovo film di Andrea Arnold riprende le tematiche della rabbia del sottoproletariato, delle periferie inglesi e delle donne trascurate e maltrattate, già presenti nel precedente Fish Tank, trasportandole su una ragazzina simbolo di una realtà sociale caotica e disastrata, lasciata a sé stessa, quasi vittima di un’apocalisse in seguito alla quale sembra impossibile rinascere e ricostruire.

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Il solito realismo popolare della regista britannica, però, si rinnova con elementi di realismo magico mai visti prima nella sua filmografia, ed è curioso che questa svolta avvenga subito dopo il suo documentario Cow, che seguiva la vita di una mucca da latte senza commentarla e trasmettendo soltanto la realtà della storia, portando ai massimi termini la propria concezione di cinema-verité.

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Il film segue la dodicenne Bailey che vive in una casa fatiscente con il fratello, parte di una squadra di vigilanti che più che fare del bene sfrutta la propria posizione per atti di violenza, e il giovane padre Bug, il quale si sta per sposare con la sua nuova ragazza con l’avversione della figlia. 

Bailey è sola in un mondo che non riesce ancora a capire se le appartiene o no, si comporta in modo forte ma il suo sguardo sulle cose è ancora fragile e romantico. Un giorno incontra un misterioso uomo di nome Bird che le chiede aiuto per ritrovare la propria madre.

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La regia di Bird

Una camera a mano segue costantemente e freneticamente Bailey, le riprese sono movimentate come lei, come il periodo che sta vivendo: il passaggio da infanzia ad adolescenza, il momento in cui si pensa di avere tutto, di avere ragione su tutto, e invece non si ha ancora niente. 

 

Bailey è la giovinezza secondo Andrea Arnold: come già in American Honey, questa giovinezza è incontenibile, mai ferma, sempre in movimento per la ricerca di una soluzione, sempre scagliata in infiniti paesaggi e panorami di cui diventa parte fondamentale. 

 

Bailey in un certo modo percepisce le mancanze di sicurezze tipiche della sua età, la confusione dei suoi anni e Bird, con la sua stranezza e poeticità, appare come una sorta di deus ex machina pronto a dare senso a questo momento di transizione e dubbi.

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La realtà va ricercata nei luoghi già conosciuti e, come il bambino protagonista del meraviglioso film di Abbas Kiarostami Dov’è la casa del mio amico, Bailey cammina e viene seguita in panorami disastrosi e disastrati ma reali: interni di abitazioni completamente ricoperti di graffiti, fatiscenti, i discorsi della società blue collar, personaggi violenti come il nuovo compagno della madre di Bailey, giovani sull’orlo della delinquenza, ma anche momenti che fortunatamente si alternano con la bellezza della natura esemplificata da cavalli e uccelli, simboli dello spirito libero della protagonista. 

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Il realismo di Andrea Arnold

Il realismo di Andrea Arnold diventa poetico perché assurdo, la realtà è assurda e solo attraverso uno scavalcamento delle possibilità umane la si può padroneggiare e quindi comprendere. Ma questa è anche la vita di tutti i giorni: una ricerca in un mondo che fa perdere e che ci rende irriconoscibili pure ai nostri stessi occhi.

 

E allora ecco che si trascende la forma umana per diventare altro da sé, vincere le paure, sconfiggere il male e trovare la libertà volando lontano per poi tornare al proprio posto. E poi ballare e riuscire a piangere e infine sorridere. E sentirsi liberi e nuovi durante un viaggio in tre sullo stesso monopattino, con la significativa Lucky Man dei The Verve in sottofondo, nel primo momento di vicinanza tra Bug e i due figli, viaggio che può portare in luoghi nuovi anche se sono sempre gli stessi. 

Bird non è il miglior film di Andrea Arnold: potrebbe apparire troppo estremizzato, quasi parodistico, nella rappresentazione dei caratteri difficili delle personalità della periferia, potrebbe spaesare l’elemento magico di alcune scene o anche la frenesia del racconto. 

 

Però Bird, nella sua poesia del magico, è un film reale: la realtà non è quella raffinata e decorata dei film di Guadagnino, ma è cruda e con poche speranze visibili. Andrea Arnold si inserisce di diritto in quella lista di registi – di cui fanno parte il già citato Kiarostami e Vittorio De Sica, su tutti – che meglio hanno saputo cogliere le sfaccettature dell’infanzia e preadolescenza e che meglio hanno saputo tirare fuori ottime interpretazioni da attori bambini alle prime esperienze cinematografiche.


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Genere: drammatico, fantastico, teen movie

Paese, anno: Francia/Regno Unito, 2024

Regia: Andrea Arnold

Sceneggiatura: Andrea Arnold

Fotografia: Robbie Ryan

Montaggio: Joe Bini

Interpreti: Barry Keoghan, Frankie Box, Franz Rogowski, James Nelson-Joyce, Jasmine Jobson, Jason Buda, Joanne Matthews, Nykiya Adams, Sarah Beth Harber

Produzione: Ad Vitam, House Productions

Distribuzione: Lucky Red

Durata: 119'

Data di uscita: 08/05/2025

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