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"Tratto da una storia vera": possiamo fidarci di film e serie tv? Da The Crown a L'incredibile storia dell'iso

23/12/2020 22:00

Aurora Tamigio

Editoriale, Film Biografico, Aaron Sorkin, Film Storico, Serie Tv Storico, Serie Tv Biografico, Sidney Sibilia, Peter Morgan,

"Tratto da una storia vera": possiamo fidarci di film e serie tv? Da The Crown a L'incredibile storia dell'isola delle Rose

È corretto cambiare gli eventi in funzione delle intenzioni narrative dell'autore di un film o di una serie tv?

 

 

 

Partendo da tre prodotti Netflix possiamo farci una domanda importante su film e serie tv storiche: è corretto cambiare gli eventi in funzione delle intenzioni narrative dell’autore?

 

 

Un articolo magnifico uscito recentemente su The Atlantic, a opera di Helen Lewis, si intitola The Crown’s Majestic Untruths. Brevemente, senza volere spoilerare né stemperare questa lettura (splendida), Lewis affronta il problema della “manipolazione” e della riscrittura degli eventi storici e dei personaggi in The CrownNello show di Peter Morgan modificare gli eventi reali serve al creator per raccontare come un’istituzione risalente al Medioevo debba modernizzarsi, o quanto meno adattarsi, con il passare del tempo. Ecco allora che la Casa Reale, gli uomini e le donne comuni, i politici e le politiche britanniche vengono trattati da Morgan come pedine, secondo quanto necessario alla trama.

Lewis si pone - e ci pone - la domanda delle domande, a cui si aggiunge un tema etico, particolarmente interessante nel caso della storia recente (nel caso di The Crown ad assistere alla reinterpretazione della vicenda delle Principessa Diana sono i suoi figli, di cui il primogenito probabile erede al trono): è corretto cambiare la storia in funzione delle intenzioni narrative dell’autore?

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Teniamo questa grande, ingombrante domanda sulle nostre teste a galleggiare. E dalla maestosa non verità di The Crown andiamo a una meno regale, ma altrettanto irreale, narrazione di casa nostra. Un prodotto appena uscito su Netflix: L’incredibile storia dell'Isola delle Rose di Sidney Sibilia, in streaming dal 9 dicembre.

Per chi non conoscesse la storia, in sintesi: la vicenda è quella dell’ingegnere bolognese Giorgio Rosa che, nel 1968, costruisce su una piattaforma d’acciaio nel mare Adriatico, a 11 km dalla costa di Rimini e 500 metri fuori dalle acque territoriali italiane, la “Repubblica esperantista dell’Isola delle Rose”, della quale proclama in seguito l’indipendenza dallo Stato italiano. Dotata di sue istituzioni giuridiche e persino di una moneta propria, l’Isola attira le ostilità del nostro Governo che arriva a sgomberarla, sequestrarla fino a demolirla nel 1969. In totale, l’esperienza di questo territorio indipendente a largo della costa italiana dura 55 giorni.

Nella versione di Sidney Sibilia (autore della sceneggiatura insieme a Francesca Manieri), che per sua ammissione arriva alla storia dopo ricerche sul web, Rosa è un inventore eccentrico, buffo e un po’ naïf che, stanco di vivere in un mondo che non gli appartiene e non lo capisce, l’Italia della Democrazia Cristiana, decide di costruirsi un posto nuovo: la sua Isola. Al netto di qualche ingenuità e stereotipo, il film è divertente, brillante e originale. Finita la visione, però, anche a fronte delle didascalie sparse nel film, ci si chiede: quanto c’è di vero in questa storia? Ed è una domanda che ci si è posti in molti, vista la quantità di articoli che balzano fuori da una semplice ricerca Google.

Se provate a leggere alcuni di questi risultati, rischiate di essere molto stupiti. La storia vera dell’Isola delle Rose è un tantino (molto) diversa da quella del film. La tentazione è di rispondersi: «Fa niente se è vero o no: è solo un film»​. Eh, no: un momento. Un film tratto da una storia vera o ispirato a fatti realmente accaduti - qualunque cosa dica la didascalia all’inizio o alla fine - non è solo un film.

 

Quando un’opera di finzione racconta/rielabora una storia vera, bisogna fermarsi a osservare come lo fa. E domandarsi perché decida di narrare una cosa piuttosto di un’altra.

Nel film di Sidney Sibilia chi è Giorgio Rosa. Un giovane uomo, idealista e sognatore, innamorato di una ragazza su cui vuole fare colpo, che si costruisce un’utopia perché la sua genialità e sensibilità non trovano posto nel mondo. Nella realtà, chi è Giorgio Rosa. Un ingegnere di quarantatré anni che, prima di intraprendere l'avventura della sua Isola, consulta tecnici e accademici; da giovane ha militato nella Repubblica Sociale Italiana, ce l’ha con i partigiani e con i comunisti, è insofferente al ’68, come alla Chiesa cattolica e alla politica in generale. Rosa è critico nei confronti della DC ma anche del PCI (che pure, durante l’avventura dell’Isola delle Rose finisce con il sostenerlo), professa un atteggiamento antipolitico e individualista. Un profilo così, oggi, rischia di somigliare all’uomo qualunque, ma tra anni Sessanta e Settanta appariva piuttosto singolare.

 

La sua impresa, che il film Netflix, ascrive nello spirito contestatorio di fine anni Sessanta, è invece estremamente lontana dalla cultura e dall’atmosfera dei tempi. Trasformare Giorgio Rosa in un hippy idealista, dandogli peraltro il volto pulito e trasognato di Elio Germano (gli attori non sono mai scelti a caso) non è proprio prendersi una libertà da poco.

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La vera vicenda dell’Isola delle Rose è inoltre estremamente più complessa di quella che racconta il film. Ciò che viene liquidato come il desiderio di un uomo creativo ed eccentrico di trovare un posto alternativo in cui vivere felicemente, nella realtà cela intenzioni tutt’altro che ingenue. L’Isola delle Rose avrebbe forse iniziato presto ad attirare i turisti, forse avrebbe adottato un regime di tassazione alternativo. Il diritto internazionale, nel periodo di controversia tra Rosa e il Governo italiano, viene scandagliato da ambedue le parti in cerca di appigli e falle: l’Isola si trovava fuori dalle acque territoriali quindi era esclusa dalla giurisdizione italiana; nonostante tutto il nostro paese esercita il proprio potere in modo aggressivo.

Insomma, la storia dell’Isola delle Rose è controversa come il suo protagonista. Sebbene il film di Sidney Sibilia sia intrattenimento ben riuscito, riduce il potenziale di una vicenda che aveva appena iniziato, nel 1968, a scoperchiare bauli di interrogativi giuridici, burocratici e anche filosofici. Certo, in questo modo la storia non sarebbe stata il racconto dell’impresa di un simpatico folle che conquista tutti con il suo ingegno e la sua simpatia. Come, a suo tempo, già era stata la saga Smetto quando voglio.

 

L’autore ha una priorità: raccontare la sua storia. Siamo disposti ad accettare che, per farlo, cambi il corso degli eventi e gli accadimenti (veri)? Dipende dagli eventi e dipende da quali sono gli accadimenti in questione, viene da rispondere.

Prima del film di Sidney Sibilia e prima della stagione 4 di The Crown, la questione si era già posta, in modo ancora più problematico, con Il processo ai Chicago 7 (su Netflix dal 16 ottobre): il trial movie, scritto e diretto da Aaron Sorkin, racconta la storia dei Chicago Seven, un composito gruppo di attivisti uniti nella contestazione alla guerra del Vietnam, accusati di aver cospirato per causare lo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale, avvenuto il 28 agosto 1968 a Chicago in occasione della Convention del Partito Democratico.

Anche qui il film è molto ben riuscito ma basta una ricerca su Wikipedia per scoprire che la storia raccontata da Sorkin diverge parecchio da quella vera. Non solo in termini di libertà creative rispetto agli avvenimenti reali, ma anche in base a ciò che l’autore arbitrariamente decide essere importante oppure no. La trattazione meriterebbe un capitolo a sé ma bisogna iniziare col dire che, sebbene una parte importante della vicenda coinvolga le Black Panther, gli snodi del film sono tutti in mano a personaggi bianchi. Inoltre, Sorkin mette letteralmente in bocca ai protagonisti ciò che lui pensa della politica statunitense, dimenticandosi persino dei principi di verosimiglianza che lui stesso ha insegnato agli sceneggiatori di tutto il mondo. La tendenza a sbragare, Sorkin l’ha sempre avuta, ma da The Social Network in poi ha iniziato a spingere i suoi personaggi in dialoghi sempre più irreali.

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Siamo dinnanzi a un caso estremo: l’autore arriva a scegliere il leader che preferisce, in mezzo ai suoi Chicago Seven, sulla base di colui con il quale si immedesima di più. Ovviamente si tratta di Tom Hayden: il bravo ragazzo americano che, con intelligenza e moderazione, vince le battaglie (anche qui, come nel caso di Germano, la faccia di Eddie Redmayne fa la differenza); mentre Abbie Hoffman e Jerry Rubin restano figure comprimarie funzionali solo a fare emergere il protagonista. 

 

Il processo ai Chicago 7 è un film con chiare e manifeste intenzioni politiche - è uscito meno di un mese prima delle elezioni americane - dunque tutto ciò che abbiamo elencato sopra rischia davvero di avvicinarsi a revisionismo. L’idea che passa dallo script di Sorkin è che l’unica lotta vincente sia quella moderata contro ciò che, secondo l'autore, è invece estremismo.

Con L'incredibile storia dell'Isola delle Rose, Sidney Sibilia non vuole fare un film politico. La lente attraverso cui guardare è un’altra. Tuttavia, non è forse un gesto altrettanto politico, quello di rendere non politica una storia -  come quella di Giorgio Rosa – che a tutti gli effetti invece lo è?  Nessuno si aspettava che Sidney Sibilia realizzasse un documentario (sulla stessa vicenda ne hanno già fatti e nessuno ha destato l’interesse del pubblico come questa fiction) ma, al momento di esprimere un parere sul film, va sottolineato come L'Isola delle Rose non centri per nulla gli aspetti più interessanti della vicenda, riducendola a una singolare pagina di costume della storia italiana.

 

Torniamo alla grande questione sollevata da Helen Lewis, che ancora aleggia sulle nostre teste come una grande mongolfiera. Non c’è nulla di male nel creare narrazioni immaginarie a partire da fatti reali e un autore certo che può cambiare gli eventi reali in funzione di ciò che vuole raccontare nel suo film. Ma nel momento in cui la storia viene modificata secondo un’intenzione ideologica oppure che viene completamente eliminata ogni complessità presente in essa, questo può diventare un problema.

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Come consiglia Lewis nell’articolo citato in apertura, è preferibile non basare la propria conoscenza storica sugli show e sui film.

 

E fin qui, graziealca, direte voi. Ma per molti spettatori questo non è affatto scontato. Fiction biografiche/tratte da storie vere/ispirate da fatti realmente esistenti restano uno dei generi più praticati da autori e autrici del cinema e della tv. Sono quasi sempre prodotti di grande successo e, spesso, vengono percepiti dagli spettatori come uno strumento per documentarsi. Chi scrive i film ha dunque la responsabilità di trattare la materia con grande rispetto e attenzione.

Questo per evitare di dovere arrivare alla fine della catena, in fase di distribuzione, a esclamare: «Ops, forse la gente penserà che Via col vento è razzista: mettiamo un cartello che dice che non lo è»​. Dio salvi la Regina ma anche tutti noi dai disclaimer. Sarebbe bello, invece, che ogni volta che esce un film storico, che fa da traino a un argomento scottante e lo fa diventare di tendenza, il distributore – nei casi che abbiamo citato la si fa facile, è sempre Netflix – procurasse allo spettatore documentari e visioni di funzione più specificatamente di approfondimento. Una specie di "pacchetto comprensione". In fondo: non è forse vero che, dopo aver visto The Crown, ora siete incalzati da documentari sulla principessa Diana?

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