
Una donna, Akram, davanti alla tv e un cartone, Willy il Coyote. Questa prima scena stridente, insieme all’ambiente rappresentato e ai colori opachi, austeri di fronte a immagini tragicomiche, ci danno un’idea della linea adottata da Kaveh Mazaheri per condurre la famiglia protagonista del suo film, Botox, verso il dramma, il grottesco, il comico, il surreale. Proprio da queste immagini iniziali, che rimarranno impresse nella mente di Akram - e, per osmosi, anche nella nostra - si mostrerà il quadro di una famiglia che ha poco di famiglia: dove la donna, ma non tutte le donne, non trova mai completamente il suo posto; e per farsi spazio darà seguito, in modo anche maldestro, ad azioni arrangiate e, a tratti, involontarie.
Akram è la portatrice di questo disagio. Disagio non tanto attribuibile alla sua forma di autismo, quanto al suo rapporto di subordinazione con tutto ciò che riguarda le dinamiche familiari. Inizialmente presenza fuori campo, perché questa è la visione che la famiglia ha di lei, Akram ci aiuta a capire cosa pensa con i suoi sguardi fermi e con una mimica facciale in cui lo spettatore si ritrova e palesa sentimenti più forti di tante parole. Fino a che, in un giorno, simile a molti altri, in cui viene vessata e derisa senza motivo, la protagonista trova slancio: il suo gesto più forte, ma anche più improvvisato, avvierà dinamiche nuove e deciderà una serie di scelte che la porteranno verso una strada tutta personale. Verso l’indipendenza emotiva.

Stanca, e noi insieme a lei, di essere trattata come una nullità, come la donna invisibile della famiglia (perché non è l’unica sorella ma a lei è riservato il trattamento peggiore) ci ripropone la caduta del personaggio del cartone animato da quella montagna: si tratta del fratello, Emad, spinto con un gesto di rabbia e sconforto giù dal tetto di casa.
Qui il film cambia tono: da registro familiare, in cui si consuma il dramma di una donna - e della donna in generale, che non trova spazio e concretezza tra i suoi stessi fratelli - si passa a un quasi horror e noir insieme, senza colori forti che ricordino un omicidio.
“L’incidente” (perché Akran per quanto sia protagonista del gesto che apre il film, non si rende conto ed esegue, come sempre, ordini che riguardano la gestione del corpo) assume un significato diverso: non c’è sangue e non ci sono lacrime ma c’è una forte sensazione di “opportunità”. Il gesto della morte perde forza per assumerne un’altra: Akram pensa semplicemente ai suoi piedi doloranti dopo aver trascinato il corpo fin dentro casa e sua sorella, nell’altra stanza, copre il volto del fratello per soffocare anche quell’ultimo possibile respiro. La scena lascia spazio al grottesco, mentre le due donne sono unite solo nei movimenti ma divise negli intenti: il gesto di Akram poteva esaurirsi nel momento in cui è stato compiuto; Azar invece, ci vede qualcosa, un inizio che non ha deciso lei ma che, forse, ha sperato, pensato, meditato tante volte.
L’incipit poteva essere questo: l’assenza di una figura maschile avrebbe potuto unire le sorelle in una rivincita. Invece questo non avviene: la sorella minore assume il ruolo di “fratello”, di “uomo della famiglia” con tutta quella carica di meschinità ed egoismo. Alle immagini di donne che ricorrono al Botox per rimanere “eternamente giovani” e per sentire quel sapore di libertà in un società eternamente ferma, si sovrappongono e stridono le immagini delle protagoniste, le cui vite subiscono l’una le decisioni dell’altra.

Botox ha vinto il Premio
come Miglior Film al TFF38
Il film apre, a ogni scena, una nuova possibilità di genere. Si passa velocemente, anche grazie alle musiche, da un sentimento all’altro ed è forse questa la perplessità di fronte a Botox: le azioni ci fanno pensare che andremo in una direzione ma poi, fino alla fine, non andiamo da nessuna parte.
L’atmosfera surreale ci fa pensare che, in fondo, possiamo decidere noi cosa sia reale: se il fratello visto davanti alla panetteria è ancora vivo; se è tutto frutto dei funghi allucinogeni; se, semplicemente, tutto è rilevato da una visione del mondo, quella di Akram. Allora forse il vero senso è che non serva urlare e che non servano cadute da una montagna per cambiare le cose. Serve un grido silenzioso come quello della protagonista che, nonostante tutto, si è ribellata più di altri che sostenevano la vera ribellione (il Botox come segno di emancipazione) e ha “spinto” la famiglia verso un vero e autentico senso.

La vera rivoluzione è proprio qui, nel personaggio magistrale di Akram, che ha un linguaggio diverso, uno sguardo folle, a tratti alieno, che ricorda i Monomanes di Géricault ma che, forse, ricorda tutti noi. In questa guerra intima ma collettiva, intrapresa per non cadere da quella montagna come Willy il Coyote che si rialza, forse, come il fratello del film.

Genere: drammatico, thriller
Paese, Anno: Canada/Iran, 2020
Regia: Kaveh Mazaheri
Sceneggiatura: Kaveh Mazaheri, Sepinood Najian
Montaggio: Pooyan Sholevar
Fotografia: Hamed Hosseini Sangari
Interpreti: Sussan Parvar, Mahdokht Molaei, Soroush Saeidi, Mohsen Kiani, Morteza Khanjani, Maryam Najafi, Mahnaz Oftadehnia
Colonna sonora: Milad Movahedi
Durata: 97'