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Tonya

16/03/2018 12:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

Tonya

Un film che scava in profondità nella vita di Tonya Harding

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Ai campionati nazionali statunitensi del 1991, la pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding sale alla ribalta grazie alla sua specialità, il triplo axel. Fu la prima americana a eseguire il salto, grazie alla sua potenza fisica in opposizione a un'eleganza che non ha mai avuto. Ma la Harding sconvolse il mondo del pattinaggio artistico e la sua nazione per un'altra ragione: aver preso parte all'aggressione, con una sbarra di ferro, ai danni della rivale storica Nancy Kerrigan, in corsa per il titolo nazionale e costretta a ritirarsi a causa di una grave frattura alla gamba. Il regista di {a href=https://www.silenzioinsala.com/4614/i-tonya/scheda-film}Tonya{/a}, quel Craig Gillespie di Lars e una ragazza tutta sua, esita, come annuncia dai titoli di testa, a raccontare tutta la verità su Tonya Harding. E in effetti il film si presenta come un falso documentario che scompone la vita della stella del pattinaggio (una fiamma che non tardò troppo a estinguersi), che gioca con i toni, con i generi e con i piani temporali, incassandoli uno nell'altro. Sebbene più bella di quel che la reale Tonya Harding fu, persino nei suoi giorni migliori, Margot Robbie - che si cuce addosso il personaggio, anche perché è anche una dei produttori assieme a Steven Rogers, autore della sceneggiatura - cresce davvero nel personaggio di Tonya; cresce perché è come se il corpo della stella diventasse il suo. Cresce anche artisticamente, però: si percepisce su ogni sua espressione, ogni sua movenza e persino sulla sovrapposizione digitale (nelle sequenze di pattinaggio) l'interesse nutrito nei confronti della controversa e tragica sportiva, non da tradursi necessariamente in ammirazione.


Scava in profondità il film di Gillespie, e va a ripercorrere le tappe fondamentali della vita della sua protagonista, intaccata prima dall'influenza anaffettiva della madre (interpretata da una spietata Alison Janney), e poi da quella del marito Jeff, entrambi punti cardine nella formazione di una personalità fabbricata da figure autoritarie e violente. Dalla prima, in particolar modo, provengono il senso di inadeguatezza nel tentativo di adattamento, l'assente desiderio di miglioramento e modellamento, l'incapacità di accettare il fallimento e la visione dello sport come canale per esprimere invidia e livore (due dei pochi sentimenti appresi) sotto forma di competizione. Queste "qualità" sono sul terreno su cui la violenza di Jeff riuscirà ad attecchire, innalzando una barriera invalicabile fra i sogni di Tonya e la miseria in cui, per formazione e non per genetica, rimarrà per sempre internata. Nancy Kerrigan non resta una rivale nel solo ambito dello sport: rappresenta la competitor numero uno di Tonya Harding, riesce a far confluire su di sé le insoddisfazioni e la primigenia frustrazione di Tonya perché effigie di quello che lei non potrà mai essere, di tutto ciò che è universalmente apprezzato e può consentire l'accesso alla gloria. Non è solo il suo aspetto, non sono solo le sue abilità senza eguali (impareggiabili specialmente per la sgraziata protagonista), non è la vittoria della brava pattinatrice sulla meno brava: è la vittoria della brava ragazza sulla outsider, sul cattivo esempio, sulle cose che l'America disapprova e discrimina con tutte le forze, anche con giurie poco sincere, salvo poi impiegare mezzi alternativi (quelli di comunicazione, per esempio) per guardare all'altra faccia della medaglia della Nazione e dare, lì, avvio un nuovo mito. Alle ricche nice girls di famiglia cattolica, la faccia positiva e la realizzazione dei propri sogni; alle Tonya Harding, dall'altra parte, la cronaca nera o l'oblio. I riconoscimenti nella competizione sportiva divengono, per Tonya, una sorta di medaglia al tentativo più che al valore. Lei è meno brava di Nancy Kerrigan per davvero. Lo sport è un mezzo come un altro (e come la boxe, ulteriore strada poi intrapresa dalla Harding), e la passione nel pattinaggio è solo il trasferimento di una passione per il trionfo e l'acclamazione.


Craig Gillespie si avvicina a Tonya Harding finché non giunge a sfiorarla da vicino, provando (e facendoci provare) un qualcosa che somiglia a commiserazione, ma il suo piglio grottesco e sopra le righe non vuole in alcun modo offrirne un ritratto positivo: è, al contrario, calcando la mano sulla negatività di figure genitoriali storte e su ciò che ne consegue, una psiche scombussolata dall'idea di antagonismo sportivo trasferito sulla realtà, che emerge, ancora più nero, il perbenismo tentacolare di una nazione spesso infida e faziosa e la sua deforme idea di grandezza.


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