GRINDHOUSE. Letteralmente "casa scricchiolante". Praticamente, un cinema di seconda categoria, cadente, lercio, nelle cui sale, tra gli anni '50 e i '70 venivano proiettate pellicole infime, di dubbio gusto, dei generi più reconditi che la cinematografia abbia mai conosciuto. Burlesque, jungle, horror, splatter, drug movies, euro-skin e mondo movies. Pellicole con una trama banale, in alcuni casi pressoché inesistente; un semplice pretesto che collegava gli exploit di violenza, gli effetti speciali dozzinali, le scene di nudo che rasentavano il porno e ogni altro genere di eccesso. Pellicole che si potevano gustare in maratone di due, tre film per volta, intervallati da cartoni animati e trailer “prossimamente”, al modico costo di un solo biglietto. 2007. Il cinema è cambiato. Lo spettatore medio paga il (caro) costo del biglietto per ingozzarsi di effetti speciali digitali, scenografie monumentali, regie videoclippare, e non vede l'ora di schiodarsi dalla poltrona appena le luci in sala si accendono. La leggenda narra che i due amici, Robert Rodriguez e Quentin Tarantino, erano a casa del secondo a osservare la sua collezione di poster d'epoca e d'un tratto, ecco lì, la folgorazione: il doppio poster di Rock all night e Drag strip girl del 1957. Perché non riportare in sala il brivido di uno spettacolo ormai perduto e sconosciuto ai più? Così nasce la sfortunata odissea di Grindhouse, che mirava a proporre al pubblico due film e un bel po' di trailer, per più di tre ore di spettacolo al prezzo di un solo biglietto. Il tutto farcito dalla formula: sangue, ragazze e rock'n roll. Purtroppo l'operazione sarebbe finita con il non essere compresa dal grande pubblico, col rischio (scongiurato fortunatamente per gli appassionati) di far naufragare per sempre la casa di produzione e la carriera dei due registi. La maggior parte del mondo è a conoscenza solo della versione snaturata del film, arrivato nelle sale italiane diviso in due pellicole distinte (A prova di morte a cura di Tarantino e, parecchi mesi dopo, Planet Terror di Rodriguez), private del senso originale dell'opera e perdendo i fake-trailer gustosissimi (Thanksgiving di Eli Roth, Don't di Edgar Whrite e Werewolf women of the SS di Rob Zombie, comunque rintracciabili su you-tube). La trama di Planet Terror, volutamente non originale, si rifà al filone degli zombie movies, categoria “mutazione da virus”, con più di una strizzatina d'occhio ai nostri spaghetti-horror. Omaggiato in modo particolare (dichiarato dallo stesso Rodriguez) Incubo sulla città contaminata, di Umberto Lenzi. Siamo ad Austin, in Texas: un gruppo di militari capitanati da Bruce Willis (reduce dei tarantiniani Pulp Fiction e Four Rooms) sprigiona nell'aria un gas tossico che fa mutare le persone in zombie. Toccherà a un gruppo di eroi improvvisati e sgangherati provare a sistemare la situazione mentre la città si trasforma in un inferno sulla terra. Il cast è corale e di tutto rispetto. Rose McGrowan interpreta la spogliarellista che perde una gamba e e che la rimpiazza con un fucile mitragliatore; Freddie Rodriguez (fratello del regista) è la summa degli eroi stereotipati dei film d'azione, con più di un riferimento ai film di Carpenter; Josh Brolin (American Gangster, W.) nei panni di un medico a dir poco inquietante. E ovviamente lo sceriffo Earl McGraw, ergo Michael Parks, presente anche nel segmento di Tarantino, oltre che nel “loro” Dal tramonto all'alba (From dusk till dawn, 1996). Tanti anche i camei d'onore. Assoldati nelle forze dell'ordine troviamo Tom Savini, il dio degli effetti speciali del cinema horror, e Carlos Gallardo, protagonista del primo film di Rodriguez, El Mariachi (1992). Stacy Farguson (meglio nota come Fergie, cantante dei Black eyed peas) è la sfortunata autostoppista, Zoe Bell (sé stessa nel segmento di Tarantino) compare qui come zombie. Per finire lo stesso Tarantino, nei panni di un soldato/zombie/maniaco sessuale. Planet Terror, del dittico, è sicuramente la pellicola che rappresenta al meglio il genere che vuole glorificare e su questo fronte l'allievo ha battuto il maestro. Nel vedere il film si ha l'impressione che Rodriguez abbia così tanta passione e così tante idee geniali da non sapere dove inserirle prima. Eccessivo. Non c'è altro termine. L'acceleratore è spinto al massimo già dalla prima scena ed ogni inquadratura trasuda di citazioni, personaggi memorabili, dialoghi brillanti. Rodriguez riesce a comprimere in un ora e quaranta ogni genere di nefandezza, dal cannibalismo allo stupro, dallo splatter puro alle scene di sesso, avvolgendo il tutto in un aurea nostalgica di inquadrature sfocate, desaturate, farcendo con chili di dust and scratch (effetto di polveri e graffi che “invecchia” artigianalmente la pellicola) fino alla summa della “bobina mancante”. Un film ricco di riferimenti visivi e musicali, che sicuramente rimarrà impresso agli amanti del genere ma che, purtroppo, difficilmente sfonderà il muro dei diffusi preconcetti perbenisti.