Il film di Preston Sturges comincia con una dedica («A tutti gli uomini buffi e i clown che hanno fatto ridere la gente») e, fin dal primo quadro, si tinge di quelle tinte retoriche che ritorneranno spesso nel corso del racconto. In realtà i protagonisti non sono i buffi né i clown, ma gente dello spettacolo che, per vocazione e professione, fa divertire la gente. L’importanza della risata verrà sottolineata nel film soltanto nel finale, quando il vero protagonista si renderà conto dell’importanza delle commedie per la povera gente. Il famoso regista Sullivan (Joel McCrea) è stanco della sua attività di autore di commedie, vuole finalmente girare un film drammatico che parli delle “vere preoccupazioni” della gente comune, un film fatto per la gente disgraziata, che vi possa riconoscersi. Per un rampollo del bel mondo di Hollywood, l’unico modo per conoscere come vive la gente povera è calarsi per un periodo, nei panni del povero, mischiandosi alla massa indigente. Se lo spunto della storia sembra anche interessante, lo svolgimento dell’esperienza di Sullivan si trasforma in una farsa poco credibile, con travestimenti ridicoli e un atteggiamento pietista più che interessato. Il regista sembra convinto della necessità di questa prova di vita in umili condizioni, importante per il suo cambiamento stilistico e professionale. Poi però assistiamo ad un ripetuto intervento dell’èquipe dello studio di produzione che, con un bus ben fornito, segue continuamente gli spostamenti del loro regista e offre un sicuro riparo nei momenti difficili. La trama acquista in divertimento quando compare la figura più vitale e interessante del film, una ragazza comune (Veronica Lake) che ha tentato di entrare nel mondo del cinema ma, sconfitta e senza denaro, è decisa a tornare a casa. Incontra Sullivan, nelle vesti di mendicante, in una tavola calda e, dopo avergli offerto un pranzo con gli ultimi risparmi, diventa la sua compagna di viaggio. Nonostante la verve e la gradevole sfrontatezza della Lake, purtroppo anche il suo personaggio viene coinvolto nel travestimento carnevalesco, ideato dal protagonista, che isola ancor più i due dal gruppo di accattoni a cui si sono aggregati. Nei momenti finali il film potrebbe anche risollevarsi: racconta infatti della reale esperienza di disperazione di Sullivan, creduto morto e arrestato dopo aver colpito una guardia ferroviaria. Peccato che il tutto si svolga negli ultimi venti minuti, in modo sbrigativo e senza mostrare allo spettatore come sia la condizione dei condannati ai lavori forzati. Con tutta la fretta di arrivare ad un classico finale, la riunione della coppia rimane infine l’elemento più importante.