In un paesino della Normandia vive Martin (Fabrice Luchini), colto e amante della letteratura, arrivato da Parigi alla campagna lavorando come panettiere. La sua quiete viene stravolta quando la giovane Gemma Bovery (Gemma Arterton) giunge in paese insieme al fidanzato Charles. Martin si accorge che la vita sentimentale della ragazza ricorda molto la tragica vicenda di Madame Bovary, protagonista dell'omonimo romanzo scritto da Gustave Flaubert, il preferito di Martin. Così l'uomo si lascia prendere dall'immaginazione e prova a modificare gli eventi che investono la vita di Gemma, per tentare di proteggerla. Tratto dall'omonima graphic novel di Posy Simmonds (e presentato ai Festival di Toronto e Torino), Gemma Bovery è il nuovo film diretto dalla regista Anne Fontaine: una commedia romantica dal tono garbato, messa in scena con cura e affidata alla bravura degli attori. Se Fabrice Luchini è una conferma, la sensualità e l'avvenenza dell'inglese Gemma Arterton conferiscono alla vicenda un'inedita vena erotica. Ambientato nella placida campagna francese, Gemma Bovery sfrutta i cliché della cultura d'oltralpe in contrapposizione allo straniamento della coppia inglese: il bilinguismo e il gioco fra le due identità nazionali diventa così un pretesto ironico senza ulteriori chiavi di lettura. Quello della Fontaine è un cinema dalle note lievi, che parla d'amore e sentimenti senza stupire nè irritare. È quando la trama prova a sfiorare le corde del metalinguismo – per diventare teoricamente più stimolante per lo spettatore – che il meccanismo si inceppa. Il personaggio di Martin, ossessionato dalla letteratura e precisamente da Madame Bovary, decide di intervenire per salvare Gemma da un destino simile a quello dell'eroina flaubertiana. Anne Fontaine mette in scena una riflessione tra arte e vita, tra letteratura e realtà, tra fantasia e verità: in tema di metalinguaggio, viene rappresentata la volontà di essere autori di una storia nella storia. Una pellicola che esplora temi importanti, ma si limita a sfiorarli senza approfondirne alcuno. Convinta di dover sorprendere, la regista perde garbo ed eleganza in un'idea di narrazione stantia, sorpassata e soprattutto già vista di recente nel ben più interessante Nella Casa di François Ozon. Gemma Bovery resta un'opera superficiale e fine a sè stessa, che si chiude in un finale a tesi simbolo della mediocrità che avvolge tutto il film.