A Mendrisio l’anziana e arzilla Palmira (Rodolfo Bernasconi) tiene le redini del paese comandando a bacchetta tutti, compreso il placido marito Eugenio (Valerio Sulmoni) e la cognata Miglieta (Germano Porta), svampita e un po’ sorda, che sogna di leggere le scritture in Chiesa, nonostante l’opposizione del parroco. Quando però in paese arriva il Circus Beck, con l’istrionico direttore e la sua avvenente assistente, la vita della Palmira e della piccola comunità sarà coinvolta in una serie di colpi di scena, compresa la scoperta di un dipinto dal valore inestimabile. Con snobismo si tende talvolta a credere erroneamente che il cinema dialettale sia un fenomeno solo del sud Italia, noto soprattutto per le sue derivazioni fra Campania e Puglia: animato da trame ricorrenti in cui - come da tradizione sin dalla commedia classica - al sempliciotto si oppone il furbo e ad un intreccio di bonari colpi di scena corrisponde il lieto fine, un film in dialetto viene apprezzato sul territorio di riferimento non solo in virtù dell’ostacolo linguistico ma anche alla luce di una comicità “familiare”, che cavalca i motivi ricorrenti di una comunità e le sue maschere. Il successo raggiunto, ovviamente solo a livello locale, da una pellicola come La Palmira - millecinquecento biglietti prenotati a Mendrisio prima ancora dell’anteprima – mostra invece come il bisogno di una piccola realtà locale di vedersi rappresentata sul grande schermo, con una veridicità che passa inevitabilmente per la lingua parlata, sia un fatto che riguarda anche il Nord, specie in una zona di frontiera quale la Svizzera italiana, dove il tema dell’identità è centrale. Solo alla luce di queste riflessioni sociologiche si spiega il successo, prima a teatro e ora al cinema, della Compagnia Comica di Mendrisio, costituita all'inizio degli anni Settanta da Rodolfo Bernasconi. Mattatori, come i più famosi Legnanesi di Milano, di una drammaturgia dialettale en travesti, in costume, protagonisti sul palco come del grande schermo sono i tre personaggi di Palmira, l’autoritaria vecchietta interpretata da Rodolfo Bernasconi, il remissivo marito Eugenio e sua sorella Miglieta, dietro le cui sembianze femminili vi è Germano Porta. Per trent’anni recitati rigorosamente in ticinese, gli sketch della Compagnia di Mendrisio sono approdati al cinema nella medesima forma e in una trama sceneggiata che recupera alcune delle gag che gli attori reputano le loro più riuscite, con l'aggiunta di un respiro cinematografico e di un più ampio cast di comprimari. La regia di Alberto Meroni e la sceneggiatura di Diego Bernasconi si sottomettono con remissività all’impostazione teatrale degli attori della Compagnia, che inevitabilmente portano sullo schermo, insieme ad anni di esperienza sul palco, i loro limiti di attori improvvisatori. Privati al cinema della possibilità del consenso immediato del pubblico dopo una battuta comica o dopo una gag esilarante, i Mendrisiotti ripropongono con poche varianti il loro spettacolo – fisso da decenni – in una trama che però al cinema risulta priva di giuntura fra un siparietto e l’altro, inossidabilmente legata al grottesco del travestimento, ostinatamente low budget. Inutile dire che il dialetto ticinese - per quanto meriti la dignità e il rispetto dovuto ad ogni folklore – oltre ad essere privo della nobiltà teatrale del napoletano o del veneziano, costituisce un ostacolo insormontabile per chiunque non provenga dalla Svizzera di confine o dalla Lombardia occidentale. Il film risulta così essere un’opera sbarrata, la cui fruizione destinata a un pubblico specifico e selezionato lo rende un prodotto di inimmaginabile diffusione.