Juliette (Astrid Berges-Frisbe, già vista nei panni di una sirena nel quarto episodio della saga di Pirati dei Caraibi) ha venticinque anni, e poche idee su cosa fare della sua vita. Come milioni di giovani della sua stessa età, Juliette si sente priva di un futuro stabile. Così, invece di deprimersi pensando al buco nero che sta inghiottendo il suo avvenire decide di vivere la sua vita ricorrendo alla sua arma preferita, l’immaginazione. La sua spada diventa il libro che decide di scrivere, che utilizza come mezzo di comunicazione con una madre al di là dell’oceano, e che la porterà a scoprire il suo vero posto nel mondo, grazie soprattutto all’aiuto di un padre (Féodor Atkine) presente e consigliere di fiducia. Presentato in anteprima nella sezione autonoma Alice nella Città, nella cornice dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Juliette è il primo lungometraggio del giovane autore francese Pierre Godeau, un racconto delicato che non necessita di grandi colpi di scena né acrobazie di sceneggiatura. L’occhio della macchina da presa, piuttosto, si trasforma nella spia di un malessere generazionale che non riguarda solo la Francia, ma abbraccia l’intera Europa. La protagonista di Godeau è il ritratto – piuttosto riuscito – di un’intera onda giovanile che sceglie, autonomamente, di ridere per non piangere. Juliette sembra non avere futuro e l’unica cosa che sa è di voler scappare da una vita che si sente stretta addosso e che la mantiene con i piedi troppo ancorati a terra. Un personaggio diviso a metà: una piccola ninfea francese che non può diventare grande, in parte perché è ella stessa a non volerlo e in parte perché il mondo che la circonda non le dà la possibilità di evolversi. Così Juliette rimane come sospesa, incastrata in quella via di passaggio che separa la gioventù dall’età della ragione: così la ragazza pensa all’amore, alla vita, alle risate. Ma in realtà cerca un modo per scrollarsi di dosso la sua prigione, per diventare quella persona che un tempo sognava di essere. Pur con una sceneggiatura a volte fin troppo piatta, che sembra non tener conto del ritmo necessario per irretire il grande pubblico, l'opera prima di Godeau è un film onesto e sincero, che ha il coraggio di parlare ad una generazione senza nascondersi dietro chissà quale messaggio moraleggiante, o ingombranti scelte drammaturgiche. Juliette è il racconto di una comune venticinquenne che si trova spaesata in questo nuovo millennio che non ha più promesse da mantenere. L’allure un po’ naive e un po’ alto-borghese del film, tuffato in una fotografia spesso colorata e abbacinante, è dovuta soprattutto all’ottima interpretazione di Astrid Berges-Frisbe, che incarna alla perfezione una ragazza d’oggi, con la quale il pubblico può facilmente riconoscersi, anche grazie ad una colonna sonora che accompagna perfettamente le immagini.