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Oggetti Smarriti

02/11/2013 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Oggetti Smarriti

La vita è diventata un bene di consumo che prende valore solo attraverso gli oggetti che la popolano: grandi macchine, luminosi appartamenti in centro, conti in

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La vita è diventata un bene di consumo che prende valore solo attraverso gli oggetti che la popolano: grandi macchine, luminosi appartamenti in centro, conti in banca sproporzionati. Nell’atto di accaparrarsi tutti questi simboli iconografici di uno status sociale, l’esistenza è diventata una giostra frenetica, un continuo via vai che fa perdere di vista le cose più importanti: i valori, la famiglia o la necessaria ambizione alla felicità. Più di tutto, però, le esistenze compulsive dei nostri giorni, con la mente sempre proiettata verso il futuro, portano alla perdita di oggetti più o meno importanti: dalle chiavi della macchina al cellulare, dagli orecchini portafortuna al portafoglio. Tanto che in qualsiasi istituzione esiste un luogo predisposto al recupero dei famigerati oggetti smarriti.


Questa è la storia di Guido (Roberto Farnesi), un uomo apparentemente di successo che ama la bellezza e il lusso. L’uomo è così occupato a seguire quella che crede essere la sua vera ambiziose, da ignorare quasi completamente i suoi oneri di padre. Così, quando la sua ex (Giorgia Wurth) gli affida la piccola Arianna (Ilaria Patané), Guido non sa dove sbattere la testa. Pratico, razionale, viveur senza eccezioni, Guido con i bambini non ci sa fare e persino prendersi cura della propria figlia sembra essere al di là delle sue capacità. Finchè un giorno accade l’impensabile: Arianna scompare. Guido chiama la polizia, chiede aiuto ma non c’è niente da fare: Arianna è semplicemente svanita, smarrita dentro casa, come il più insignificante degli oggetti. Per Guido comincia un’avventura ai limiti del surreale, una girandola di situazioni assurde che fanno capo al sedicente Ufficio Oggetti Smarriti, a cui si aggiunge anche la conoscenza con Sonia (Chiara Gensini), vicina di casa di Guido.


Giorgio Molteni dirige una pellicola dal grande afflato onirico: un gioco che avrebbe dovuto miscelare immaginazione e realtà in una raffinata riflessione per immagini sulla compulsività moderna, a favore di un ritorno ad un ritmo esistenziale più placido e - dunque - godibile. Perché, almeno nelle intenzioni, Oggetti Smarriti si presentava come un interessante progetto che avrebbe potuto portare anche ad una nuova visione cinematografica, dove un incrocio tra il sogno e la commedia surreale avrebbe potuto trovare spazio. Eppure alla storia principale di Guido e Arianna si mescolano altri micro-racconti che, invece di aiutare il fluire della narrazione, la rallentano al fine di rendere forzato e macchinoso il rapporto tra realtà e finzione. A tutto questo si aggiungono personaggi dall’utilità narrativa dubbia e una voce narrante petulante, che si sforza di spiegare fatti e situazioni che sarebbe stato compito delle immagini e dell’abilità del regista mostrare. Purtroppo Oggetti smarriti funziona solo su carta: il risultato sul grande schermo è un impianto caotico che gira su stesso arrivando a perdersi, tanto che lo spettatore si trova ben presto smarrito proprio come gli oggetti che danno il titolo alla pellicola.


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