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Bella addormentata

07/09/2012 11:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

Bella addormentata

Diritto di vita, diritto di morte...

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Diritto di vita, diritto di morte. Ogni essere umano li possiede, eppure, secondo la religione cattolica, desiderando di metter fine alla propria vita, si commette un peccato mortale. Marco Bellocchio, utilizzando la storia di Eluana Englaro, ragazza rimasta in coma vegetativo per 17 anni, realizza una pellicola intensa e drammatica che parla di eutanasia, di insofferenza umana di fronte a un mondo tornato allo stato animale e della brama di morte per un’esistenza, ormai, priva di senso.


Il senatore Uliano Beffardi (Toni Servillo) deve decidere se sostenere o meno una legge che la sua coscienza non riesce ad accettare. Sua figlia Maria (Alba Rohrwacher), attivista del movimento per la vita, manifesta davanti alla clinica in cui è ricoverata Eluana Englaro per impedire allo stato italiano di ucciderla. Divina Madre (Isabelle Huppert), un’attrice professionista di alto livello, sceglie di rinunciare alla propria carriera e alla propria vita privata per assistere la figlia in coma irreversibile da anni. Infine, Rossa (Maya Sansa) è una tossica cronica con manie di suicidio che viene accudita dal medico Pallido (PierGiorgio Bellocchio).


Tre donne forti, coraggiose e indipendenti sono le protagoniste della pellicola. Sullo sfondo di città grigie, di strade affollate e di ospedali pullulanti di infermi, si consumano le loro sofferte peripezie. Ognuna è affetta da un dolore che, quotidianamente, pulsa sempre più forte e rivendica il diritto di esistere. Ignare di cosa sia la felicità ma consapevoli di non avere (più) possibilità di conoscerla, reagiscono più o meno violentemente a ciò che il destino ha riservato loro. C’è chi si dedica anima e corpo alle preghiere cercando in un’entità superiore il conforto necessario per continuare a (soprav)vivere; chi si getta tra le braccia della droga per smettere di pensare; chi, infine, lotta personalmente per quello in cui crede. Una sceneggiatura impegnativa, piena di perle morali ed etiche - o di presunte tali - che combattono per rompere il monopolio del dolore mal gestito e mal dosato in un’Italia cinica e depressa. Bellocchio, Veronica Raimo e Stefano Rulli, rimandando costantemente ad eventi storici e politici propriamente italiani, costruiscono una trama fitta di storie indipendenti ma intrecciate che ricordano l’esigenza vivida e vorace di vivere a qualunque costo. O forse, no. Le note dolenti curate da Carlo Crivelli (Sorelle Mai), riflettono lo strazio, la sofferenza, l’agonia di battaglie perse in partenza perché la vita è un dono ma, spesso, la morte è l’unica possibilità di salvezza auspicabile. Il regista di Vincere si avvicina ai suoi personaggi, li assiste nei momenti peggiori e li sprona a riprendere il combattimento sul ring della vita. Seppur presentando, spesso, freddure indirette ai rappresentanti della politica italiana, il regista non propone alcuna soluzione, decide di non schierarsi, si limita a mostrare la cruda realtà dei fatti. Come il suo senatore Beffardi, vicino a una drastica decisione ma impossibilitato ad attuarla, Bellocchio depone l’ascia di guerra e affida il giudizio al pubblico. Tuttavia, facendo appello alle nostre coscienze, avverte e ammonisce.


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