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Santa Maradona (2001), la recensione del cult generazionale di Marco Ponti

31/10/2021 15:00

Marcello Perucca

Recensione Film, Film Cult, Film Commedia, Film Italia, Libero De Rienzo, Stefano Accorsi, Marco Ponti,

Santa Maradona (2001), la recensione del cult generazionale di Marco Ponti

Nel suo piccolo Santa Maradona è un film rivoluzionario perché i protagonisti vogliono prendersi gioco della società in cui sono costretti a vivere.

Compie vent’anni Santa Maradona, primo lungometraggio del regista torinese Marco Ponti. Il film, ambientato nella città sabauda, uscito nelle sale il 26 ottobre 2001 è diventato, con gli anni, una pellicola di culto per molti di coloro che, a cavallo del nuovo millennio, avevano tra i venti e i trent’anni, cioè la stessa età dei protagonisti.

Santa Maradona prende a prestito il titolo da una canzone dei Mano Negra, il gruppo di Manu Chao che proprio in quell’anno si era esibito a Genova sul palco della manifestazione contro il G7, finita tragicamente con la morte di Carlo Giuliani e il massacro della scuola Diaz.

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I protagonisti del film sono due quasi trentenni che coabitano nello stesso appartamento: Andrea (Stefano Accorsi) e Bart (Libero De Rienzo), il cui vero nome, in realtà, è Bartolomeo Vanzetti ma che preferisce farsi chiamare con la stessa abbreviazione dell’anarchico suo omonimo.

Andrea è in perenne ricerca di un posto di lavoro e, per questo, si sottopone a una estenuante serie di colloqui che, regolarmente, finiscono in un nulla di fatto. Al contrario, Bart è un perdigiorno che campa facendosi pubblicare recensioni di film che, in realtà, gli vengono scritte da un cugino.

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Attorno ai due protagonisti principali ruotano vari personaggi che consentono alla vicenda di svilupparsi in situazioni tali da rendere complessi i vari rapporti interpersonali. C’è Lucia (Mandala Tayde), ragazza italo-indiana amica di entrambi che ha un rapporto assai complicato con Marco (Fabio Troiano). E c’è Dolores (Anita Caprioli), aspirante attrice teatrale di cui Andrea si innamora perdutamente. La passione, ricambiata dalla ragazza, in Andrea si spegne il giorno in cui Dolores gli confessa che, prima di conoscerlo, aveva accettato di andare a letto con un regista per avere una parte nel suo spettacolo.

 

Fra noia, partite allo stadio e furti nei grandi magazzini per provare quel brivido che manca nella loro vita, le giornate di Andrea e Bart trascorrono sempre sul filo della precarietà e dell’instabilità dei rapporti. Bart è una sorta di coscienza critica. Sia di Andrea, al quale rinfaccia di aver lasciato Dolores senza capire che la confessione della ragazza era dettata solo dal profondo amore e rispetto nei suoi confronti. Sia di Lucia, alla quale continua a suggerire di lasciare Marco, che la trascura e si dimostra troppo centrato su se stesso.

Quelle di Andrea e Bart sono vite trasparenti agli occhi di una città – Torino – che sembra volerli respingere. Sono senza soldi, senza prospettive. Pagano (quando riescono) un affitto in “nero”, non sono iscritti a nessuna lista di collocamento e non hanno un lavoro. Quindi, come affermano loro stessi, di fatto non esistono.

 

Eppure, dietro questa facciata, si cela la voglia di ribellarsi a un mondo infastidito che li vorrebbe sottomessi e li considera inutili. Si percepisce da parte loro l’esigenza di lasciarsi alle spalle l’eredità dei propri genitori o anche solo dei fratelli maggiori. Emblematica la scena in cui torna a casa Pier Paolo, il loro terzo coinquilino che, sino a quel momento, non si era mai visto. Lo vediamo in stato catatonico a causa dell’eccessivo consumo di droghe, senza essere in grado di interloquire con i suoi compagni di appartamento. Tanto che o due amici decidono di sbarazzarsene, semplicemente gettandolo in uno scatolone e abbandonandolo in un magazzino. Come a dire che la pessima eredità lasciata loro in dote – in questo caso la droga che ha distrutto le generazioni precedenti – loro si rifiutano di accettarla.

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Nel suo piccolo Santa Maradona è un film rivoluzionario perché i protagonisti vogliono prendersi gioco della società in cui sono costretti a vivere.

 

Un po’ come fece il campione argentino, che prese in giro il mondo intero nella famosa partita giocata ai mondiali del 1986, segnando all’Inghilterra un gol di mano che entrò nella leggenda quando, anni dopo, lo stesso Maradona dichiarò che a segnare non fu la sua mano bensì quella di Dio. Il film di Marco Ponti sta tutto qui, fra situazioni a volte improbabili e molte battute taglienti.

 

Non è cosa da poco perché, sotto quella patina di cazzeggio e inconcludente quotidianità, si svela qualcosa di molto più profondo. La volontà di ribaltare il corso della propria esistenza dettata da un’inquietudine di fondo che si esplicita nel momento in cui Andrea e Bart, di fronte alle immagini di Butch Cassidy, con Robert Redford e Paul Newman (solo una delle tante citazioni cinematografiche inserite nel film), decidono di prendere in mano la propria vita in un finale, diventato celebre, che resta aperto a qualsiasi interpretazione.

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Santa Maradona, con una soundtrack che, oltre al pezzo dei Mano Negra, conta brani dei gruppi torinesi Motel Connection e Subsonica, viene presentato restaurato in versione digitale in 4K alla 39ma edizione del Torino Film Festival.

 

Un doveroso omaggio a un film simbolo di una generazione e, soprattutto, un affettuoso ricordo di Libero De Rienzo, amato attore italiano la cui scomparsa, nel luglio di quest’anno, ha lasciato un grande vuoto in tutti i suoi numerosi estimatori.


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Genere: commedia

Italia, anno: 2001

Regia: Marco Ponti

Sceneggiatura: Marco Ponti

Fotografia: Marcello Montarsi

Montaggio: Walter Fasano

Interpreti: Stefano Accorsi, Anita Caprioli, Libero De Rienzo, Mandala Tayde

Musiche: Subsonica, Mano Negra, Motel Connection

Produzione: Rai Cinema, Harold, Mikado Film

Durata: 96'

Data di uscita: 26 ottobre 2001

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