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La serie Netflix Adolescence è il "trattamento Ludovico" di cui la nostra società aveva bisogno, a partire d

05/05/2025 13:11

Chiara Maria D'Angelo

Netflix Original, Approfondimento Serie Tv, Serie Tv Regno Unito, Serie Tv Drammatico, Stephen Graham, Jack Thorne, Owen Cooper,

La serie Netflix Adolescence è il "trattamento Ludovico" di cui la nostra società aveva bisogno, a partire dalla colonna sonora

Adolescence ci strappa via dalla nostra comfort zone, ci toglie il diritto all’indifferenza.

Adolescence ci strappa via dalla nostra comfort zone, ci toglie il diritto all’indifferenza, e ci obbliga a restare scomodi, immobili, a sentire il peso della coscienza sociale che brucia sotto la pelle.

Adolescence, la serie Netflix di Stephen Grahm e Jake Thorne è uno speculum oculare. Proprio come quello usato nel “trattamento Ludovico” dal dottor Brodsky in Arancia Meccanica di Kubrick, ispirato alle teorie comportamentiste di Pavlov e Skinner, che legavano la visione di atti violenti a un’irrefrenabile sensazione di nausea. Ma stavolta non è Alex a essere costretto a guardare. Siamo noi.

Spettatori incollati allo schermo, con gli occhi spalancati davanti a una storia che non è finzione, ma cronaca quotidiana. Adolescence ci strappa via dalla nostra comfort zone, ci toglie il diritto all’indifferenza e ci obbliga a restare scomodi, immobili. A sentire il peso della coscienza sociale che brucia sotto la pelle.

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La musica ci guida tra le emozioni che proviamo guardando Adolescence

Una rabbia sorda, una paura lucida: non sapere come agire, ma sapere che non si può più fingere di non vedere. Questo è ciò che il terzo episodio, quello con l’incontro con la psicologa Briony Ariston (Erin Doherty), vuole scuotere dentro lo spettatore: scardinare lo sguardo distratto e costringerci a restare lì, spalancati, disarmati, senza più alibi. Ed è proprio quando tutto sembra spezzarsi che il linguaggio delle parole cede il passo a quello delle immagini e dei suoni.

 

Così come, nel secondo episodio, si innalza in volo la camera, senza soluzione di continuità, con un passaggio invisibile tra operatore camera e drone, costringendo lo spettatore ad attraversare, con uno sguardo più critico e consapevole, il tragitto che separa la scuola frequentata da Jamie dal parcheggio in cui Katie Leonard ha esalato il suo ultimo respiro, così si innalza un coro. Un coro di voci bianche che intona una trascrizione struggente di Fragile di Sting.

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La camera si abbassa, lentamente, sempre in piano sequenza: il suo movimento sembra un respiro pesante, che ci conduce al punto esatto in cui il padre di Jamie porge un mazzo di fiori. Colmo di dolore. Colmo di incredulità. Fermo, davanti all’irreversibilità di una tragedia. È qui che si consuma il climax perfetto: il coro sfuma con una messa di voce, si dissolve, e dal silenzio emerge una voce solista, avvolgente e fragile. È la vera voce di Katie, la vittima, che intona le ultime due strofe del brano, quelle più iconiche:

On and on the rain will fall, like tears from a star. On and on the rain will say, how fragile we are.

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Una scelta simbolica, potentissima e coerente con il messaggio profondo della serie: la violenza ha contaminato anche l’infanzia. Quelle che un tempo erano voci bianche, simbolo di purezza, oggi cantano un luogo ferito, dove la rabbia ha preso il posto dell’innocenza e si è fatta carne, canto e memoria. 

 

E la voce solista è la voce di Katie che proviene dall’oltretomba, di cui si conosce la morte ma non si ricorda la vita. La scelta di far intonare Fragile di Sting da un coro voci bianche non è un semplice accompagnamento sonoro, ma un tassello fondamentale della visione poetica e straziante di Adolescence

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La colonna sonora di Adolescence

Il regista Philip Barantini e il supervisore musicale Mark Kirby, entrambi mossi dal desiderio di utilizzare la musica non come semplice sottofondo, ma come eco emotiva capace di adagiarsi tra le crepe più intime del racconto, hanno scelto di restituire quella verità emotiva attraverso il coro degli studenti del Minsthorpe Community College, luogo in cui è stato girato il secondo episodio. Gli studenti non solo hanno prestato le loro voci, ma hanno abitato lo spazio scenico, diventando presenze reali in un racconto che parla anche – e soprattutto – di loro.

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Inoltre, la scelta di un adattamento per coro di voci bianche richiama direttamente il Langley Schools Music Project, l’iniziativa nata negli anni ’70 in cui brani iconici venivano riportati alla luce attraverso l’innocenza imperfetta delle voci scolastiche. Un richiamo nostalgico e potentissimo, che amplifica il messaggio di fragilità e verità custodito nel canto.

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La colonna sonora originale dei compositori Aaron May e David Ridley ha trasformato quell’eco in corpo e in voce, scrivendo dei brani minimalisti che si confondono con il sound design. Come nel brano Adolescence dove un violoncello - il cui timbro, iconologicamente, simbolo di un’intimità sofferta - appare e si sottrae in lunghe e distese note, mentre il ticchettio dell’orologio continua inarrestabile a contare i secondi, regolare. Un suono diegetico, estrapolato dalla realtà, che si intreccia a suoni adiegetici, sintetici e manipolati che marcano i confini della realtà fatta di rumore e caos. 

 

La pulsazione incessante del tempo, il battito del metronomo, sfuma nella fugacità e tenta di ricondurre ordine alla frenesia della vita, che si disperde in un tempo regolare, a sua volta scandito dai rumori del caos. Un sottofondo perfetto per il lamento intermittente del violoncello, che esprime l’impossibilità di fermarsi ad ascoltare la sofferenza latente, quella che cerca di trasalire.

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Un’atmosfera soffocante, claustrofobica, tesa come l’attimo prima di un grido. Sospesa. In attesa di una voce femminile che non canta parole, ma intona melodie semplici, ninnenanne lontane, un eco del passato, un veicolo di un dolore non detto ma profondamente presente. Nella colonna sonora, la voce si erge spesso tra i suoni della parte strumentale e sound design, e si fa chiamata sommessa, nascosta dall’apparenza e dalla velocità che non porta più a prestare attenzione ai piccoli gesti: una voce nel buio che si propaga e si contrae nei suoni della realtà.

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Adolescence tra il successo su Netflix e il dibattito nella società

La realtà di oggi però non ha note né melodie, non riesce a trovare piccoli spazi di armonia tra i giovani, ma ha rumori battenti che si nutrono dell’insicurezza e la crescono in un mondo virtuale che si è diramato come veleno. È una realtà in cui l’unica figura che si sente chiamata in causa è quella genitoriale che, a seguito delle nuove tendenze educative e pedagogiche, ha convertito la punizione in comprensione. In risposta all’eccesso di violenza e autorità tipico della generazione precedente, il genitore mette in discussione il proprio ruolo educativo, si disarma e si colpevolizza e non riesce a far fronte alla degenerazione della gestione emotiva, ormai divenuta una pandemia, che chiama con urgenza tutte le società mondiali ad un intervento collettivo.

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A dimostrazione della gravità del fenomeno, il Primo Ministro britannico, Sir Keir Starmer, ha promosso una campagna per portare Adolescence nelle scuole: un tentativo concreto di contrastare l’intensificarsi di una mascolinità tossica che, alimentata dall’assenza di strumenti emotivi e relazionali, finisce per deformarsi in violenza vera, quotidiana, normalizzata. Un segnale forte, che restituisce alla cultura – e al cinema – la responsabilità di intervenire laddove l’educazione ha smesso di essere ascoltata e la realtà di essere vista.

E se prima potevamo anche provare un certo fastidio nel vedere come Adolescence, una serie Netflix, fosse riuscita a generare un effetto domino ipertrofico sull’interesse collettivo per temi come la violenza di genere, la comunità incel, il disagio emotivo adolescenziale – a differenza del silenzio assordante che spesso accompagna i dati reali e i fatti di cronaca quotidiani – oggi bisogna ammettere qualcosa di oggettivo: questa serie tv ha compiuto qualcosa in cui l'arte dovrebbe sempre riuscire. Ha dato voce al silenzio e ha svegliato coscienze assopite e sguardi distratti di una società assente e di una politica disinteressata.

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