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Mindhunter (2017), la recensione della stagione 1: la serie di David Fincher nella mente dei serial killer

13/12/2017 11:00

Samantha Ruboni

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Mindhunter (2017), la recensione della stagione 1: la serie di David Fincher nella mente dei serial killer

Una delle serie più chiaccherate e viste su Netflix in questi ultimi mesi: Mindhunter segna il ritorno di David Fincher sul piccolo schermo

Una delle serie più viste su Netflix in questi ultimi mesi: Mindhunter segna il ritorno di David Fincher sul piccolo schermo

Una delle serie più chiaccherate e viste su Netflix in questi ultimi mesi: Mindhunter segna il ritorno di David Fincher sul piccolo schermo, dopo la direzione dei primi episodi di House of Cards. Mindhunter, storia dei primi profiler americani, è tratta dal libro autobiografico di John Edward Douglas. La serie è prodotta, e per alcuni episodi diretta, da David Fincher e Jim Davidson; tra gli esecutivi ci sono Charlize Theron, Joshua Donen e Cean Chaffin.

10 episodi, per la durata circa di 50 minuti l'uno, disponibili sulla piattaforma Netflix dal 13 ottobre 2017.

 

Il protagonista della serie è Holden Ford, interpretato da Jonathan Groff, un giovane agente dell'FBI deciso a dare un'impronta psicanalitica ai metodi tradizionali e senza evoluzione del Bureau. Vuole elaborare un metodo per capire come agisce un serial killer – termine che verrà coniato proprio grazie ai suoi studi – in maniera da poterlo comprendere e, magari, correggere. Nell'impresa avrà al suo fianco un detective più anziano, Bill Tench (Holt McCallany), e una professoressa di Boston, Wendy (Anna Torv). La ricerca dei tre si basa su una serie di interviste agli assassini più sanguinari della storia, cercando di scoprire, e classificare, cosa li ha spinti a commettere quei delitti.

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David Fincher torna a Netflix

Dopo la regia delle prime puntate della serie ormai cult House of Cards, David Fincher si dedica al progetto Mindhunter. Una serie che si addentra nei meandri della mente umana, come nella migliore tradizione della sua filmografia, da Seven a Zodiac: uno degli scopi principali del cinema di Fincher, infatti, è da sempre quello di indagare e addentrarsi in tutte le molteplici, affascinanti e segrete sfaccettature del cervello - anche - criminale.

 

Mindhunter tenta di analizzare e conoscere le menti più affascinanti e spaventose dell'umanità: i serial killer.

Qui Fincher riesce a spingersi oltre Seven e Zodiac, pur mantenendo la cifra stilistica della propria regia: l'ossessione per i particolari, la cura maniacale dei dettagli. Per restituire perfettamente l'atmosfera degli anni'70, il regista usa gli effetti speciali per cancellare e aggiungere particolari: se da una parte rimuove le auto che non risultano d'epoca, dall'altra aggiunge alberi e verde. Il verde torna anche nella sua palette classica di colori, che ottiene desaturando la fotografia e abbassando la luce al minimo, donandoci quindi un'atmosfera giallognola-verdina che riconosciamo subito sua e che ci fa subito ricordare Zodiac

Il rosso non esiste, e quando c'è verte sempre verso il nero. Vera cifra stilistica di David Fincher è, anche qui, l'adattamento musicale. Ogni singola sequenza ha una canzone riconoscibile che l'accompagna e brano fa da sottotesto a ciò che stiamo vedendo sullo schermo descrivendolo. Da Hold The Line dei Toto alla bellissima sequenza accompagnata da Fly like an eagle – un piccolo saggio di regia di Fincher – fino alla perfetta Psycho Killer alla fine della seconda puntata, tutto ci narra e evolve la scena che stiamo vivendo. La musica è elemento narrante e imprescindibile.

Il giovane Holden

Protagonista della serie è Holden Ford, incarnazione cinematografica del vero primo profiler dell'FBI, John E. Douglas. Questa professione torna spesso nel genere thriller, se pensiamo a un cult come Il silenzio degli Innocenti (e nella serie dedicata a Hannibal Lecter) o ai film di Fincher stesso. Holden è un giovane rampollo dell'FBI ed è specializzato nella negoziazione di ostaggi. Nei primi minuti del pilota, che nonostante le critiche e le recensioni negative è assolutamente imperdibile, Holden è il primo personaggio che vediamo sullo schermo. Una vera e propria presentazione del personaggio: scopriamo subito che lavoro fa Holden, la crisi che deriva dal fallimento di un caso, un nuovo amore, la svolta professionale, la scoperta della psicologia criminale. È questa la svolta che fa partire la serie.

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Ma questo tipo di scoperta avviene molto oltre la metà della puntata e l'orchestra della serie viene montata solo a fine episodio. L'operazione di David Fincher (sua la regia delle prime due puntate) è quella di farci conoscere il suo protagonista prima di chiunque altro: la serie non sarà solo la storia dei serial killer, ma sopratutto la storia di Holden. 

Come già in Zodiac, insieme ai killer scopriamo i personaggi, sempre più presi e coinvolti nella ricerca di risposte. Come per Robert Graysmith, anche di Holden Ford e compagni viviamo l'euforia, il loop che li assorbirà talmente da lasciare alle spalle la vera vita; quasi come se i detective diventassero più spaventosi dei serial killer, a causa della loro apatia e ossessione.

L'analisi della mente degli assassini segue di pari passo quella di Holden, fino a una vera e propria unione delle due. Come nell'episodio 1x05, quando Holden riesce a immaginare la scena del crimine e a riconoscere gli schizzi di sangue: il profiler è appena nato.

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I Killer di Mindhunter

Gli assassini che si susseguono all'interno della serie, seriali e no, sono tutti personaggi realmente esistiti o ancora in vita, all'interno di carceri di massima sicurezza. David Fincher, per offrire la loro "migliore" rappresentazione, realistica al 100%, ha fatto largo uso di documentari e filmati originali; oltre ovviamente agli audio originali delle registrazioni delle interviste fatte da Douglas.

• Monte Ralph Rissel, serial killer attivo in Virginia tra 1976 e 1977 uccise 5 donne;

• Richard Speck serial killer attivo a Chicago nel 1966, torturò, violentò e uccise 8 studentesse infermiere in una notte;

• Jerome Henry “Jerry” Brudos, serial killer necrofilo attivo in Oregon tra 1968 e 1969 strangolò 4 donne;

• Edmund “Big Ed” Kemper, serial killer necrofilo attivo in California tra 1972 e 1973, uccise 5 donne.

Ultimo nella lista, ma non per importanza, Ed Kemper è il criminale seriale con cui avrà più a che fare Holden. Kemper è un omone di 2 metri, gentile e di buone maniere al quale piace parlare dei propri crimini in maniera lucida e precisa. Per Holden è una vera e propria gallina dalle uova d'oro e sarà indispensabile per il suo studio. L'intepretazione di Cameron Britton è da pelle d'oca, soprattutto se messa in confronto alle vere interviste fatte a Kemper (visione consigliatissima per i più impavidi, per capirne la mente lucida e folle, le interviste a Kemper si trovano anche su YouTube).

Kemper è il primissimo serial killer con cui Holden e Tench avranno a che fare, ma solo perché Charles Manson non era disponibile. Intervistare gli assassini non sarà sempre facile come con Kemper; con altri ci saranno difficoltà e molta più diffidenza. È questo il motivo per cui con Kemper gli incontri saranno molteplici, tanto che il serial killer penserà di aver stretto amicizia con Ford. Ma un altro serial killer viene accennato nei vari episodi, come un file rouge che accompagna tutta la serie. Non lo vediamo commettere omicidi ma osserviamo, con molta raffinatezza, come si diventa killer, come nasca in lui la necessità di uccidere. 

È tutto detto tra le righe: piccole ossessioni sul lavoro, perversioni, istinti irrefrenabili. Tutte cose che sappiamo porteranno all'omicidio seriale grazie allo studio di cui la serie parla. Non sappiamo il suo nome, ma in molti su internet, per la fisionomia per le sue perversioni l'hanno riconosciuto come il BTK Killer, attivo in Kansas tra 1971 e 1994: ha torturato e ucciso più di 10 persone. Sicuramente quel file rouge si andrà a sviluppare nella seconda stagione, annunciata il 30 novembre. E molto probabilmente, oltre al BTK Killer, Ford riuscirà finalmente a intervistare Manson, suo punto fisso fin dalla prima puntata.

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La violenza c'è, ma non si vede

Una cosa che colpisce, pensandoci, è come in Mindhunter nonostante si parli di assassini e omicidi, non ci sia quasi violenza e pochissimo sangue. La brutalità trapela solo dalle parole dei killer intervistati e dalle foto che intravediamo durante gli interrogatori. Non abbiamo flashback né ricostruzioni dell'accaduto. Allo spettatore viene dato tutto il necessario per poter immaginare la violenza. Esattamente come deve operare un profiler. Questa operazione ci consente di ragionare sulla mente criminale in piena neutralità, permettendoci di comprendere tutti i punti di vista: quello del serial killer e quello della vittima. Da spettatori, quindi, è un po' che se anche noi diventassimo aspiranti profiler, senza essere distratti da sangue e crudeltà visiva.

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