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Ammore e malavita

06/09/2017 11:00

Valentina Pettinato

Recensione Film,

Ammore e malavita

I Manetti Bros portano un po’ di musical a Venezia 74

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Dopo La La Land ci pensano i Manetti Bros a portare un po’ di musical al lido. In concorso alla 74ma Mostra del cinema c'è Ammore e Malavita, un gangster movie in salsa partenopea, che mescola la sceneggiata napoletana con la storia di crimine e violenza e gioca bonariamente con i cliché su Napoli e i napoletani, senza prendersi troppo sul serio.


Don Vincenzo (Carlo Buccirosso) è un imprenditore malavitoso stanco di dover vivere sempre in pericolo. Così decide, insieme alla moglie Rosa (Claudia Gerini), di mettere in atto un piano perfetto per ritirarsi ai Caraibi e vivere dell’ingente ricavato di anni di malaffare. Il piano è perfetto, ma per essere messo in atto ha bisogno della complicità dei soli suoi uomini di fiducia: Ciro (Giampaolo Morelli) e Rosario (Raiz). Qualcosa non va per il verso giusto e a farne le spese è l’infermiera Fatima (Serena Rossi), che viene a conoscenza di fatti che rischiano di compromettere l’affare. Così è Ciro che deve risolvere la situazione, sbarazzandosi di lei. Ma qualcosa impedirà al ragazzo di collaborare, tradendo la fiducia di Don Vincenzo.


Se c’è un modo di fare cinema gioioso è quello dei Manetti, un cinema che ti travolge di entusiasmo e ti predispone a godere di una pellicola. Un modo di girare che si fa perdonare qualche scivolone, che rende sofisticata anche la scelta di inserire qualche elemento kitsch, dove il demenziale si mescola alle raffinate citazioni, alla cura registica, all'amore per il dettaglio. Lo spettatore si ritrova davanti a un’opera felice, da prendere con ironia. Ammore e malavita si avvicina al precedente lavoro degli autori, Song'e Napule per il mood neomelodico, che si mescola a elementi crime, ma in questo caso la scelta stilistica è quella di dare maggiore spazio al musical e alle tendenze popolari napoletane, evolvendo in un certo senso la pellicola precedente, ampliandone il discorso attorno alla città.


Non era semplice mettere in scena un lavoro così complesso, un genere pieno di elementi metacinematografici, di stereotipi irresistibili, di richiami a un certo tipo di film del passato. Il risultato funziona bene: i Manetti realizzano un’opera in cui c’è spazio per tutti. Nonostante il loro attore abituale, Giampaolo Morelli, sia al centro della vicenda, in realtà la storia inizia in maniera corale, dando più spazio al ménage criminale; per poi confluire, a imbuto, nell’altra vicenda d’amore, quella tra Morelli e l’infermiera Fatima. La città, Napoli, è un’ importante protagonista: ecco i sentimenti di amore e odio per la città raccontati in un musical, tra passione e colpi di pistola, raffinate tecniche marziali giapponesi e inseguimenti per i vicoli.


Il film è una rivisitazione originale delle classiche sceneggiate, con inserti artistici, comparse e cammei notevoli. La narrazione non si priva di alcun elemento: è generosa, come i sentimenti degli abitanti della città. Gli elementi del musical sono più presenti nella prima parte, mentre nella seconda si lascia maggior spazio ad altre componenti, preservando tuttavia sempre uno spirito allegro e autoironico. Ammore e Malavita si colloca perfettamente nella filmografia dei registi, come evoluzione di un discorso cinematografico su Napoli che però non è simile alla Napoli di Gomorra - La Serie (sulla quale bonariamente la regia ironizza) ma è un luogo più sentimentale, difficile da abbandonare. Nonostante una sceneggiatura con qualche piccola sbavatura, il film riesce bene anche grazie a un perfetto controllo degli elementi caricaturali, vacillando solo leggermente in termini di ritmo. Saltando da siparietti musicali napoletani a una versione partenopea di What a feeling in stile Flashdance, siamo travolti da una pellicola esuberante e allegra. Serviva una boccata d’aria fresca nel panorama delle ultime uscite cinematografiche.


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