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Ender's Game

02/11/2013 12:00

Davide Stanzione

Recensione Film,

Ender's Game

Un libro come quello di Orson Scott Card avrebbe legittimato l’ansia da prestazione di qualsiasi adattatore...

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Un libro come quello di Orson Scott Card avrebbe legittimato l’ansia da prestazione di qualsiasi adattatore. Il gioco di Ender è infatti un classico della letteratura per adolescenti, uno di quei romanzi di formazione per tredicenni o giù di lì in cui i lettori di tutte le età e in particolare i coetanei del protagonista possono identificarsi operando il più classico dei transfert: immaginare se stessi, ragazzini ordinari, nei panni di un giovane uomo addestrato per essere un comandante di primissimo ordine, capace di annullare con sicurezza e padronanza di sé tutte le incertezze di percorso che in quella fase particolare della crescita sarebbero umanamente lecite. Non è un caso allora se Ender’s Game, ponendosi eccellentemente sulla scia del volume da cui parte, si conferma un ottimo, costruttivo racconto sulla disumanizzazione perpetrata per mano dei poteri forti, che operano un crimine enorme da leggere in chiave rigorosamente allegorica e distopica: allenare dei giovinetti sulla carta innocenti e puri di cuore affinché diventino delle magistrali ed efficienti macchine da guerra. Ender Wiggin, tra tutti, è il più scaltro e abile, un sommo leader in miniatura nel corpo di un fanciullo, capace di tenere testa ai suoi superiori con convinzione inamovibile (ottime le scene col Colonnello Hyrum Graff di Harrison Ford, nei cui occhi lucidi c’è tutta la stentorea e silente potenza di un passato fantascientifico non così lontano col quale è impossibile non fare i conti).


La trasposizione di Gavin Hood, regista de Il mio nome è Tsotsi, muove da una sceneggiatura ben calibrata, prima garanzia di qualità per una traduzione dal libro al film rispettosa e all’altezza. Sebbene non manchi qualche passaggio macchinoso associato a degli eccessi verbosi e appena oltre la metà del film il respiro appaia come schiacciato da un esubero di computer-graphic non troppo brillante e un po’ amorfa, il cuore nevralgico del testo di Scott Card è toccato e maneggiato con cura da mani sapienti e chirurgiche: l’esercizio della violenza bellica diventa un’arma micidiale per distruggere altri mondi e altre galassie in modo preventivo, ancor prima di esserci sincerati delle loro reali intenzioni per stabilire se si trattasse di propositi mortiferi o meno. Tale impostazione guerrafondaia si fa così tratto distintivo di una società militarizzata, sospesa in un limbo atemporale apparentemente senza futuro nonostante l’ambientazione futuristica, in cui il passato viene commemorato ma si è mortalmente impauriti dal peso di un’eredità difficilmente trasferibile dai padri ai figli. Ecco che allora Ender, depositario di una genialità tattica e strategica che si credeva quasi perduta, acquista una legittimazione quale figlio sacrificale da immolare per il bene della patria, manovrandolo, dandogli l’illusione di comandare in autonomia quando invece la verità operativa, nel momento decisivo in cui egli si appresta a ottenere la promozione gerarchica definitiva, gli verrà clamorosamente negata. Sacrificando in tal modo definitivamente la parte sana e incorrotta della sua anima e “creando un killer innocente”, come scrisse John Kessel a suo tempo a proposito del libro.


Ender’s Game come film di fantascienza può dirsi riuscito, accattivante e avvincente nonostante le piccole e perdonabili sfasature interne cui s’accennava in precedenza. Un adattamento diligente ma non troppo di confezione che sa farsi valere, nei momenti migliori e più ispirati, anche grazie alla costruzione di un’apnea visiva tutta a servizio della successiva, imminente resa spettacolare: un meccanismo di (non) azione e reazione che ben rende la progressione narrativa, per arrivare infine alla tesissima scena madre della simulazione che è cuore centrale e climax di tutto il film, nodo cruciale in grado di fare da detonatore per molte delle tematiche che l’opera di Hood intende far proprie. Su tutte, l’ambiguità etica che si dipana a partire dal genocidio finale, dopo che la tempesta cibernetica è ormai passata ma le spiacevoli conseguenze di quell’atto, tutt’altro che improntato a una qualche forma di ecologia bellica, esplodono in tutta la loro forza controversa. Ed è così che Ender’s Game, meravigliosamente costruito intorno al sempre più bravo Asa Butterfield e oltre l’intrattenimento di qualità che è in grado di offrire, si fa riflessione tutt’altro che banale e risaputa sul machiavellismo, i suoi limiti, le sue contraddizioni.


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