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La sciamana

09/10/2012 10:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

La sciamana

Presentato al Festival di Venezia nel 1996, La sciamana è l'ennesimo film shock di uno dei più controversi registi della scena cinematografica europea, quell'An

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Presentato al Festival di Venezia nel 1996, La sciamana è l'ennesimo film shock di uno dei più controversi registi della scena cinematografica europea, quell'Andrzej Zulawski nel cui passato troviamo uno dei cult più amati dagli appassionati dell'horror, Possession, risalente al 1981 con protagonisti Sam Neill e Isabelle Adjani. Un autore che non è mai sceso a compromessi per raccontare le proprie storie, e che neanche in questo caso si è sottratto a una forte raffica di critiche, soprattutto nella sua patria, la Polonia, per via delle frequenti ed estreme scene di sesso e i marcati riferimenti anticristiani. Polemiche che però non gli hanno impedito una vera e propria acclamazione (non seguita da premiazioni) proprio alla presentazione al Lido.


Una giovane ragazza, soprannominata "l'italiana" (Iwona Petry), giunge a Varsavia per iscriversi all'Università. In cerca di un posto dove dormire, si imbatte casualmente in Michal (Boguslaw Linda), un professore di antropologia, che le subaffitta un appartamento dove fino a poco prima viveva suo fratello, un prete. Tra l'italiana e Michal si innesca subito una bruciante passione, basata inizialmente sul sesso, che pare avere origini quasi soprannaturali. Il giorno dopo l'incontro con la sua nuova amante, il docente e il suo team rinvengono in uno scavo il corpo di una mummia risalente a tremila anni addietro, che ben presto l'uomo identifica come uno sciamano. Nel frattempo il rapporto morboso tra Michael e l'Italiana assume contorni sempre più inquietanti, mandando a rotoli la vita dell'antropologo.


Violento, sia carnalmente ma soprattutto psicologicamente, La sciamana è un film che lascia il segno, sorpassando i limiti con una naturalezza genuina e crudele, non nascondendo nulla e anzi mostrando gli eccessi nella loro morbosità. Un erotismo ai limiti della pornografia che non impedisce all'opera di costruirsi un fascino accattivante, grazie alle atmosfere suggestive che usano il sesso non solo come mezzo voyeuristico, ma lo trasformano in un rapporto ancestrale che lega indissolubilmente il personaggio dell'Italiana e quello della mummia. Iwona Petry, esordiente (e per questo si dice "sfruttata" dal regista nelle scene più estreme) in seguito sparita dalle scene, e Boguslaw Linda offrono anima e corpo alla camera, non nascondono le loro sofferenze e il loro piacere, e si rivelano perfetti alfieri di un cinema incontenibile, che trasborda in scene potenti e brutali, e si accompagna ad una colonna sonora martellante e ossessiva, vera e propria parte integrante della narrazione. Le inquadrature, tutte di grande effetto e pregne di significanti, e il percorso auto-distruttivo intrapreso dai personaggi, nascondono un forte connotato anti-religioso (ma sarebbe meglio dire anti-cristiano), senza però eccedere in vacuità, anzi costruendo su questa base un ritratto immaginifico che, oscillando tra Bertolucci e Oshima, mantiene una folgorante, e scomoda, originalità.


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