Sembrava che The Substance dovesse vincere tutto alla Stagione dei Premi… e invece. Forse perchè il film di Coralie Fargeat è meno originale di come è stato raccontato.
Una standing ovation di 11 minuti al Festival di Cannes: ecco come ci era stato presentato The Substance. Un horror, anzi un body horror, che è riuscito a far breccia nell’algido cuore della critica prevenuta verso questo genere, al punto da portarsi a casa, pochi giorni dopo, la Palma d’oro per Miglior sceneggiatura. Da lì in poi hanno iniziato a rimbalzare una serie di notizie che non hanno fatto altro che alimentare la curiosità in merito alla pellicola, non solo per gli amanti dell’horror.
Ma la rete si sa, è un posto pericoloso in cui è necessario dare solo la giusta confidenza agli sconosciuti: tra chi gridava al capolavoro, chi ha visto solo le citazioni a Kubrick, chi diceva di essersi sentito male in sala e chi descriveva The Substance come “uno dei film più disturbanti mai realizzati".

Poi è arrivata la stagione dei premi e The Substance ha fatto incetta di nomination: 21 solo considerando Oscar, Golden Globe, British Academy e Critic’s choice. Eppure, a conti fatti, ha raccolto le briciole: sono solamente 4 le statuette effettivamente vinte. Insomma, come mai tutto questo fomento alla fine si è risolto in poco? In questo articolo proveremo a darci una risposta.
Un passo indietro: di cosa parla The Substance
Il film è scritto, diretto, prodotto e montato da Coralie Fargeat, che alle spalle ha solo il rape&revenge Revenge - era il 2017 - con cui si era fatta abbastanza notare e dove già metteva in chiaro alcuni cardini del suo cinema (che non sorprende ritrovare anche in questo suo secondo lungo): prendere un sottogenere (prima il R&R, ora il body horror), tirarlo a lucido con una messa in scena dai colori accesi e fluo, infarcire la storia con chiavi di lettura attuali e il gioco è fatto!
Se è vero, come si legge nella recensione pubblicata su SilenzioinSala, che The Substance è «un film dedicato al corpo delle donne» (lo era anche Revenge, dove Matilda Lutz veniva ritratta come oggetto del desiderio maschile, esattamente come accade qui a Margaret Qualley), la storia altro non è che una lunga parabola che descrive la mercificazione delle donne nello show business: quando l’età avanza e la bellezza sfiorisce, si viene allontanate in modo quasi fisiologico. Il discorso è tutt’altro che originale, ma Coralie Fargeat lo utilizza per costruirci intorno un film dall’estetica precisa e ammaliante.


Talmente ammaliante che tantissimi (come detto in apertura) si sono fiondati a far notare le analogie cromatiche e le composizioni delle inquadrature prese di peso dallo Shining di Stanley Kubrick; ma ben pochi hanno fatto caso che quel liquido giallo fluo è davvero troppo simile al siero utilizzato dal Dr. Herbert West in Re-Animator.
Per lo stesso motivo alla definizione di “body-horror” viene in automatico accostato il nome di David Cronenberg (che va benissimo, per carità): fidatevi, emerge in ogni recensione di The Substance. Eppure - notizia devastante - non è necessariamente Cronenberg la stella cometa di questo film. Un po’ come dire che in The Hateful Eight Tarantino si è ispirato a Sergio Leone, quando in realtà aveva in mente Sergio Corbucci, Enzo Castellari e Sergio Sollima.

I punti di riferimento di Coralie Fargeat in The Substance
Che David Cronenberg sia il padrino del body horror è fuori discussione dal momento che la totalità della sua filmografia parla di cambiamento (spesso fisico, più raramente solo psicologico) e il suo imperativo è “lunga vita alla Nuova Carne”. È facile tracciare un parallelismo tra il disfacimento di Demi Moore - che, scena dopo scena, appare sempre più simile a una strega contorta ed emaciata - e quello di Jeff Goldblum mentre si trasforma nel Brandon-Mosca.

È ingiusto però trascurare tutti quei nomi che hanno contribuito ad alimentare questo sottogenere. The Substance si svolge nello sfavillante mondo dello show business di Los Angeles e parla di quanto all’apparenza e all’estetica venga data un’importanza cruciale a discapito di tutto il resto. Se sei figo, il mondo è tuo.

In maniera non molto dissimile un film del 1989 parla dell’alta borghesia di Beverly Hills dove conta solo apparire con fisici perfetti, carriere perfette, ville perfette e dove chi si scosta un briciolo da questo modello di perfezione subisce pesanti ritorsioni: la pellicola in questione è Society di Bryan Yuzna la cui scena finale è un tripudio orgiastico che rappresenta uno dei vertici massimi del body horror al cinema.
Yuzna è anche il produttore del sopra citato Re-Animator (questa volta dirige Stuart Gordon, un altro che del body horror ne ha fatto una scelta di carriera) la cui storia ruota attorno a un siero in grado di riportare in vita i morti e creare (nel sequel, diretto da Yuzna) ibridi grotteschi.
Ma il film a cui The Substance paga maggiormente debito è La morte ti fa bella, con cui condivide svariate tematiche: il decadimento delle protagoniste con l’avanzare dell’età, l’ossessione per la bellezza eterna, un misterioso siero fluorescente in grado di far ringiovanire, lo sfacelo fisico e il body horror. C’è persino un monito che appare molto simile nei due film:
«Abbia cura del suo corpo, dovrete stare insieme per molto tempo» si dice in La morte ti fa bella.
«Ricordati che tu sei una», ripete The Substance.
Ma quella raccontata da Fargeat è in qualche modo una storia archetipica: è Biancaneve, è Dorian Grey, è quello che John Carpenter aveva racchiuso in una scena di Fuga da Los Angeles, con la setta di “incidenti chirurgici” capitanata dal primario Bruce Campbell.

Da B-Movie a Elevated Horror
Inutile giraci intorno, la totalità dei film sopracitati sono stati considerati alla loro uscita dei b-movie e molti lo sono tutt’oggi. Anche il tanto osannato Cronenberg è stato per anni ignorato dalla critica e dal cinema in generale: ne è prova che per quasi un decennio (2014-2023) non è riuscito a farsi finanziare alcun progetto (e anche Crimes of the future al cinema passò abbastanza in sordina).
Quindi, qual è la differenza tra The Substance e i film citati sopra? Prima di tutto, lo stile. Fargeat vuole raccontarci la storia con sguardo elegante e raffinato, ed è innegabile che la regista abbia un occhio invidiabile per la messa in scena: è capace di creare inquadrature simmetriche, giocando con elementi geometrici, spesso facendo emergere il tema del doppio a livello subliminale.

Una confezione impeccabile che eleva la pellicola da semplice horror a “elevated horror”. Lo ha fatto Ari Aster con Midsommar. Lo ha fatto Alex Garland con Men. Lo ha fatto Oz Perkins con Longlegs. Lo ha fatto Robert Eggers con Nosferatu. E la lista potrebbe andare avanti ancora e ancora.
Hanno tutti cercato di ripulire l’horror per dargli un’impronta “d’autore”, ottenendo però dei risultati altalenanti o parzialmente riusciti. E The Substance non fa eccezione.

The Substance, ma ha anche dei difetti
Il primo, grosso no del film di Fargeat è la sua incapacità di sintesi: per raccontarci una storia esile (e a tratti già sentita) impiega 140 minuti là dove La morte ti fa bella durava 100', Society 98' e La Mosca 95'.Tutta la parte centrale del film è eccessivamente didascalica - quanto viene esasperato il conflitto e le ripicche che le due si fanno? - e si perde in sottotrame superflue, come quella dell’infermiere. E poi c’è il finale (anzi: i finali) che si trascina ed esaspera ogni situazione, dando la sensazione che Fargeat non abbia idea di come chiudere la sua storia.
Prendendo ancora a esempio La morte ti fa bella: la scena in cui Meryl Streep e Goldie Hawn, decrepite, vanno letteralmente in pezzi cadendo dalle gradinate è pressoché identica - almeno a livello concettuale - a quella in cui SPOILER Demi Moore e Margaret Qualley si fondono. La differenza è che Zemeckis ebbe il buon senso di chiuderla lì, mentre Fargeat ci aggiunge altri 20 minuti di girato esasperando una situazione non necessaria e che nulla aggiunge alla narrazione.
The Substance meritava di più?
Torniamo alla domanda dell’inizio: come mai tutto questo fomento per The Substance alla fine si è risolto in nulla agli Oscar? Siamo davanti a film di genere che ha l’ambizione, anzi la necessità di essere qualcosa di più, come dimostrano la sua durata e la patinatura della messa in scena. Ma, anzichè sviscerare il sottogenere da cui prende spunto, Fargeat si rifugia in facili ammiccamenti che rimandano all’horror d’autore per eccellenza (Shining) ma che poco ha a che fare con ciò che ci sta raccontando.

La parabola di The Substance attraverso le kermesse ricorda di fatto la trama del film: una storia superata e fuori moda (come Demi Moore) che subisce un restyling radicale (la regia patinata e accattivante funge da “sostanza”).
Viene presentata al pubblico nella sua nuova e splendida forma (come Margaret Qualley). Inizialmente le platee vanno in visibilio e il film fa parlare di sé (l’ascesa al successo di Sue), ma giunti al banco di prova più importante (lo show di Capodanno come la notte degli Oscar) The Substance si presenta goffo e fuori posto nonostante la sua apparenza impeccabile (come il mostro finale, deforme eppure coperto di paillette e gioielli). Racimolato l’Oscar per il miglio trucco (la stella crepata sulla Walk of Fame) del film non rimarrà traccia, proprio come dopo il passaggio di una grossa idropulitrice.

Rimane sempre un dubbio. Un film del genere è effettivamente un omaggio (o se preferite una operazione di recupero) a un certo cinema di genere oppure che una scusa per cercare di attirare l’attenzione atteggiandosi da regista fuori dagli schemi?