La Mostra del Cinema di Venezia 2022 si è aperta con un film, targato Netflix, molto atteso: parliamo di Rumore bianco, White noise, ultimo lavoro del regista Noah Baumbach, adattamento dell’omonimo romanzo di Don DeLillo che racconta le vicende una famiglia americana nel suo disperato tentativo di affrontare la quotidianità confrontandosi con temi come la morte e la possibilità di essere felici in un mondo destinato a spegnersi.
Protagonista del film è Jack Gladney (Adam Driver), professore massimo esperto di studi hitleriani e punto di riferimento intellettuale in materia.
Insieme alla sua pluricomposta e mista famiglia (figli di diversi rapporti) si trova alle prese con una serie di drammi quando una nube nera tossica si alza da terra verso il cielo a seguito di un incidente avvenuto a poca distanza dalla loro abitazione. Babette (Greta Gerwig, compagna del regista nella vita), moglie di Jack, è da sempre punto di riferimento per lui e per la sua famiglia: ma la sua forza inizia a vacillare per un misterioso segreto, che nasconde e che la espone a perdite di memoria.
La narrazione, divisa in tre parti (“Onde e radiazioni”, “Evento tossico aereo” e “Dylarama”) ripropone la stessa scansione del romanzo di partenza; e con sagacia ironizza sul consumismo, sulle teorie complottistiche, sui predicatori e sull’ossessione per la ricerca della felicità e di una soluzione a morte e male di vivere.
La paranoia sociale del romanzo di DeLillo è qui esasperata a livello visivo attraverso le scene di apertura del film e il montaggio di immagini di eventi catastrofici che l’umanità ha prodotto. Per spettacolarizzare la morte, trasformandola in un evento collettivo.
C’è molta contemporaneità e molto coraggio in questo tentativo del regista di tradurre in un linguaggio diverso dalle pagine di un libro (sacro) come la fonte di partenza, la potenza e la bruta verità del testo di DeLillo. Coraggio, se pensiamo che solo altri due -prima di Baumbach - hanno tentato l’impresa: Cronenberg in Cosmopolis nel 2012 e Jacquot con À jamais, tratto dal romanzo Body Art.
La psicosi collettiva, la ricerca spasmodica di un salutismo estremo, di privazioni malsane, di soluzioni mediche definitive sono argomento molto attuali, alla luce della pandemia che ci ha toccati tutti nel nostro intimo e le sue conseguenze sulle relazioni familiari: questo fa della pellicola di Baumbach un’opera postmoderna e interessante, un feed di notizie che attinge da stati d’animo e sentimenti, una cascata di caos, schizofrenie e lucida follia, che non ripropone fedelmente il testo di partenza ma in un certo senso lo semplifica, complicandolo.
In questa operazione filmica, forse irriverente, sicuramente spudorata, c’è molto Baumbach: nei dialoghi e i suoni che ipnotizzano lo spettatore; nella semantica intellettuale e nell’ironia dei personaggi che si confrontano sull’America e le sue contraddizioni; ci sono gli interrogativi esistenziali, le risposte aperte e i dolori che attraversano i protagonisti, senza distinzione di età.
C’è tanto, forse troppo e forse poco controllo. In questa pellicola è come se i giudizi sulla società e la satira cannibalizzassero in maniera inefficace tutta la narrazione, senza arrivare davvero al punto.
Ma il film era un’operazione complessa sin dall’inizio e, in questo, il regista fa quello che può e lo fa anche bene. Ma dalla visione quello che arriva è un eccesso di manierismo da un lato e uno sbilanciamento filmico dall’altro.
Nelle scene più ironiche, quando le sfide dialettiche fra intellettuali vengono rappresentate attraverso disastri e scontri, quando cioè, il regista rappresenta visivamente allegorie e punti di vista, il film si manifesta in tutto il suo potenziale. Nel racconto della genesi di un’icona come soluzione unica per sfuggire alla morte, ritroviamo le scene più belle di questa pellicola, grandi momenti di cinema.
Nella seconda parte in cui le ossessioni del protagonista e il tentativo di fare giustizia prendono tutta la narrazione, che il film perde di vigore, e si accartoccia sul finale, crollando sulla sua estrema stratificazione. Rumore bianco è un adattamento rispettoso, che attrae per potenza del proprio cast ma che non funziona perfettamente nei meccanismi narrativi e nell’equilibrio complessivo. Ma da vedere per il coraggio.
Genere: commedia, drammatico
Titolo originale: White Noise
Paese, anno: GB/USA, 2022
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach
Fotografia: Lol Crawley
Montaggio: Matthew Hannam
Interpreti: Adam Driver, Alessandro Nivola, André Benjamin, Barbara Sukowa, Don Cheadle, Greta Gerwig, Jodie Turner-Smith, Lars Eidinger, May Nivola, Raffey Cassidy, Sam Nivola
Colonna sonora: Danny Elfman
Produzione: Heyday Films, Passage Pictures (II)
Distribuzione: Netflix
Durata: 136'