Al suo esordio da regista, Maggie Gyllenhall raccoglie il premio alla Sceneggiatura al 78esimo Festival di Venezia e conferma la buona sorte che il cinema pare riconoscere alle opere di Elena Ferrante. Il romanzo di partenza è La figlia oscura e racconta la storia di Leda, un'insegnante di letteratura comparata che si rifugia in un'isoletta della Grecia per godersi una vacanza in solitaria.
L'incontro con una chiassosa e ambigua famiglia del posto e in particolare con Nina (Dakota Johnson) giovanissima madre, innescano in lei un tumultuoso ritorno al passato che contribuirà a tramutare il presente in un incubo a occhi aperti.
L'ex Secretary non usa scorciatoie e questo – a un primo impatto – risulta piacevolmente spiazzante: la spiaggia e il mare non sono concessi in forma panoramica mentre la mdp si concentra sui corpi e resta schiacciata e stretta sui loro turbamenti. Olivia Colman (Leda) è allora una donna carnosa e dagli occhi allarmati tanto quanto Dakota Johnson è conturbante o Lyle (Ed Harris), il tuttofare dell'isola, una gigantesca ruga del tempo. Una scelta che fa del corpo il luogo dell'evento.
Leda si trova lì, stesa a prendere il sole, ma anche altrove, sbalzata indietro di venti anni, giovane e talentuosa ricercatrice impegnata a rincorrere un sogno di affermazione, mentre le due figlie piccole attentano giornalmente al supremo proposito.
La natura dell'incubo (un incubo che flirta con il senso di colpa, e con un uguale e contrario desiderio di definitiva catarsi) restringe le pareti della camera d'albergo, tramuta una rumorosa serata di cinema all'aperto in una mefistofelica derisione collettiva, corrompe con i segni della decomposizione la freschezza del presente.
Ci porta, infine, in un territorio di mezzo dove quello che vediamo, proprio come per la sempre più spaesata Leda, potrebbe non corrispondere affatto a quello che accade.
Ma è qui che il film di Gyllenhall si arena, costretto a caricarsi sulle spalle il crescente fardello di una trama che procede per accumulo, di un montaggio sempre più forsennato, e piega lentamente la testa sotto i colpi di un simbolismo che, anziché delineare chiaramente il focus della storia, quel sentimento di liberazione che una madre può provare nel rifuggire le pastoie della maternità in nome di una propria, rinnovata, autonomia, si perde in salti temporali confusi.
Questi, piuttosto che fornire una causa/effetto dello stato mentale di Leda, lo riducono a un “set allucinatorio” senza soluzione di continuità, annientando il necessario contrasto tra la realtà e la sua distorsione.
Il passato e le sue proiezioni restano il punto forte di un film in cui il filtro del tempo che passa – altro tema chiave di un racconto in cui il mondo si divide nettamente tra chi i figli può ancora generarli e chi non può più – è un prisma che Gyllenhall usa con una certa disinvoltura. Sorprendente la sequenza in cui un ricordo di Leda, come in una scatola cinese, prende le mosse dal ricordo di quello che – nel passato – è appena accaduto. Questo modo di procedere, però, toglie al presente ogni respiro, ogni via di fuga.
Come la bambola perduta in mare, trovata e nascosta allo sguardo e all'affetto di una bambina, The Lost Daughter sostituisce alla vita il suo simulacro, ma così facendo mette un rassicurante cuscinetto tra la spietatezza e la misericordia. Pare dirci che a tutto c'è rimedio. Pare dirci che basterà perdere conoscenza sul bagnasciuga per svegliarsi rinfrancati. E invece, no.
Venezia 78 - Miglior sceneggiatura a Maggie Gyllenhaal
Genere: drammatico
Paese, anno: Regno Unito/Grecia/Israele/USA, 2021
Titolo originale: The lost daughter
Regia: Maggie Gyllenhaal
Sceneggiatura: Maggie Gyllenhaal
Soggetto: dal romanzo di Elena Ferrante
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Affonso Gonçalves
Interpreti: Alba Rohrwacher, Dagmara Dominczyk, Dakota Johnson, Ed Harris, Jessie Buckley, Olivia Colman, Paul Mescal, Peter Sarsgaard
Colonna sonora: Dickon Hinchliffe
Produzione: Endeavor Content, Pie Films, Samuel Marshall Films
Distribuzione: Bim Distribuzione
Durata: 121'
Uscita: 07 04 2022