I vampiri di Only lovers left alive e gli zombi di The dead don’t die sono nel cinema horror di Jarmush perfette rappresentazioni del crollo del capitalismo
Jim Jarmusch è uno di quei registi capaci di creare foreste di sottotesti nei propri film, spesso per niente immediati. Il genere horror, che da sempre racchiude significati che vanno ben oltre il jumpscare o una recondita ematolagnia, con Jim Jarmusch raggiunge vette difficilmente replicabili.
I vampiri di Only lovers left alive e gli zombi di The dead don’t die sono le perfette rappresentazioni del crollo del capitalismo industriale e della necessità di un approccio ecosocialista come unica via di salvezza.
I vampiri hipster di Solo gli amanti sopravvivono
I vampiri di Only lovers left alive sono hipster decadenti che oziano sui divani di velluto, circondati da una Detroit in rovina. Sono soggetti depressi che combattono per mantenere il contatto con un mondo che esige troppo. Sono vampiri post-industriali che perdono l’identità parassitaria e rinnovano le convenzioni obsolete attraverso il deperimento.
Solo gli amanti sopravvivono possiede tutti gli stilemi e i significanti iconografici di un film di vampiri, ma senza l’abiezione, l’ansia e il terrore di solito associati a essi: questo perchè Jarmusch prosciuga i vampiri del loro potenziale spaventoso. Il suo film è fatto di sogni, non di incubi.
Questa atmosfera è racchiusa nel momento in cui Eve (Tilda Swinton), per salvare Adam (Tom Hiddleston) dal suicidio, decide di far risuonare sul giradischi Trapped by a thing called love di Denise LaSalle. Questo è uno dei tasselli che rende più chiaro come il film agisca su livelli metaforici differenti, staccandosi dalla trama per raccontare una storia più universale.
Adam ed Eve hanno i nomi del primo uomo e della prima donna creati, ma ne ribaltano alcune dinamiche: nel film è Adam a commettere il peccato originale, inoltre rappresentano non il crollo di un paradiso ma la rinascita che deve avvenire necessariamente attraverso arte, cultura e amore. I protagonisti del film trovano infatti nella musica di Schubert, negli scritti di Shakespeare, nel dialogo, gli strumenti per elevarsi e sopravvivere in una Detroit devastata.
E la scelta della città del Michigan non è casuale: il motto di Detroit, dopo il grande incendio, del 1805 è Speramus meliora; Resurget Cineribus ossia Speriamo in cose migliori; Risorgerà dalle ceneri. Ancora una volta viene così esplicitato il senso di rinascita che permea la pellicola: Detroit non rappresenta solo il fallimento del capitalismo americano - dovuto alla chiusura della storica industria automobilistica Ford, alla bancarotta della Chrysler e di General Motors, che ha portato ad un abbandono della città - ma rappresenta un nuovo inizio che, secondo Jarmusch, passa dalla cultura.
Emblematica per mettere in mostra il declino in cui versa l’America capitalista è la sequenza in cui Adam visita con Eva l’ex Michigan Theatre, costruito nell’atelier di Henry Ford, trasformato in un parcheggio. L’industria riguadagna spazio sostituendo l’arte e portando a una lenta, quanto inesorabile, estinzione. L’arte, la cultura, l’amore ci salveranno tutti.
Non è un caso che Jim Jarmusch, nel film, definisca Los Angeles una «Zombie Central», e le persone vengono chiamate zombie, pre-configurando la successiva incursione nel cinema di genere avvenuta con The dead don’t die.
The dead don’t die e gli zombi di Jarmusch
In questo film del 2019, I morti non muoiono, a essere presa di mira è l’America più rurale, quella delle piccole città, quella che ha votato Donald Trump e in cui l’unica speranza potrebbe essere rappresentata dalle nuove generazioni.
Gli zombie, nel loro parallelismo con gli umani, in una dinamica di romeriana memoria, sono alla ricerca della carne ma anche di wifi, caffè e antidepressivi, mentre l’umano affronta con apatia e indifferenza i cambiamenti globali e climatici, nonchè le guerre.
Nel nome del capitalismo, alla ricerca del petrolio, l’uomo è l’unica causa della distruzione del mondo. In questo film non è un virus a trasformare in mostri, non si parla più di persone infette, di malati e pazienti, con conseguente trasmigrazione empatica nei confronti dello zombie, ma di un vero e proprio specchio della realtà.
Anche in The dead don’t die il genere horror permette ancora una volta a Jarmusch di raccontare la sua visione di mondo ideale, in cui l’elemento realmente orrifico è l’essere umano e il capitalismo sfrenato.