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Christopher Nolan come Stanley Kubrick: il cinema, una macchina del tempo

16/06/2018 21:28

Marco Filipazzi

Approfondimento Film,

Christopher Nolan come Stanley Kubrick: il cinema, una macchina del tempo

Proprio come il regista americano, anche Nolan utilizza il tempo per costruire un cinema nuovo, più alto e raffinato, colmo di significati nascosti

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Più di qualsiasi altra arte, il cinema – inteso in senso lato, come «l’invenzione dei fratelli Lumiere» – è riuscito a imbrigliare e manipolare il tempo. Imbrigliare perché attraverso un film, un documentario o una serie tv possiamo viaggiare dall’alba dei tempi sino a un futuro tanto prossimo da risultare inimmaginabile. Possiamo vedere com’era il nostro pianeta quando la Terra era dominata dai dinosauri; ritrovare i fasti dell’antico Impero Romano sedendoci sulle gradinate del Colosseo, per presenziare a truci spargimenti di sangue nell’arena; o, ancora, rivivere le tragedie delle grandi guerre del secolo scorso come se ci fossimo anche noi a difendere il fronte.
 

Manipolare perché sullo schermo pochi minuti possono dilatarsi e divenatre ore intere – in Inception la sequenza del furgone che cade dal ponte dura praticamete metà film – e migliaia di anni possono condensarsi in una frazione di secondo, come nel sublime stacco osso/astronave di 2001: Odissea nello spazio, che ci catapulta dall’età della pietra sino a un futuro ancora da venire nell’arco di un battito di ciglia.

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Il cinema è un'autentica macchina del tempo

Molti sono i registi che nei decenni hanno sfruttato questa caratteristica per raccontarci storie in modo originale e atipico, di volta in volta aggiornando il linguaggio filmico anche grazie all’evolversi della tecnologia: un esempio su tutti, il bullet-time dei fratelli Wachowski che sul finire dello scorso secolo ha reinventato il concetto di rallenty e cambiato per sempre il modo di girare scene d’azione e non solo. Ma solo pochi hanno fatto del tempo la base della loro sintassi cinematografica. Non è un caso che siano stati citati 2001: Odissea nello spazio e Inception, perché proprio Stanley Kubrick e Christopher Nolan – con le rispettive filmografie – sono stati spesso accostati tra loro, al punto che il secondo sia stato nominato a più riprese l’erede artistico del primo. Se a torto o a ragione non è ciò che ci importa analizzare.
 

Focalizzando l’attenzione sulla filmografia di Nolan si nota il ripetersi di un tema sotto varie declinazioni: il tempo e la percezione che abbiamo di esso. Il tempo fa da costante e da cardine sin da Memento, dove la linearità della storia viene decostruita e riassemblata in una narrazione che procede a singhiozzi (sperimentata due anni prima in Following). Lo spettatore percepisce l’evolversi della vicenda attraverso il punto di vista del suo protagonista, un Guy Pearce che ha costanti vuoti di memoria, e il montaggio del film si resetta ogni 15 minuti, alternando scene che sono cronologicamente opposte l’una all’altra.

The Prestige è un film costuito in ellissi temporali che si concatenano; flashback che si aprono all’interno di altri flashback come se fosse un gioco di scatole cinesi (o di prestigio). In Inception, ancora, il tempo viene dilatato all’inverosimile, creando piani temporali sovrapposti mano a mano che la narrazione procede, ognuno dei quali scorre a una velocità differente e più lenta del precedente.

 

In Interstellar il concetto di tempo per la prima volta non viene usato contro gli spettatori, bensì contro i protagonisti della storia stessa e in particolare si ripercuote sul viaggio nello spazio di Matthew McConaughey (e sul rapporto del protagonista con sua figlia). Interstellar è anche l'opera di Nolan in cui il concetto di tempo viene affrontato non solo in maniera percettiva, ma nel finale assume una dimensione solida. «È come un corridoio in cui si può andare avanti e indietro» per parafrasare un concetto espresso nel film.

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E infine arriviamo a Dunkirk, ultima fatica del cineasta inglese. Un racconto di guerra che parla di Storia con la S maiuscola. L’operazione Dynamo, ovvero un piano di evacuazione navale su larga scala: 400.000 mila uomini bloccati sulle coste francesi del canale della Manica con le truppe naziste alle spalle e il mare d’innanzi a loro. Vennero tratti in salvo da navi della flotta inglese tra il 27 maggio e il 4 giugno del 1940.
 

Una storia che sulla carta potrebbe essere lineare e fluida; un racconto di eroismo misto a dramma bellico, ma che Christopher Nolan manipola al punto da plasmare in qualcosa di nuovo, estremamente originale e inaspettato grazie a questa sua fissazione per il tempo e la narrazione a piani alternati. Da qui in poi si potrebbe anche parlare di spoiler (o quantomeno è il vero asso nella manica del film) perciò se non avete già visto la pellicola è consigliabile non proseguire nella lettura.
 

Dunkirk è un film che si dipana su tre linee narrative ben distinte e presentate allo spettatore sin dal primo minuto: la terra, il mare e l’aria. La peculiarità è che ognuna di esse segue un arco temporale differente dalle altre due. Le vicende che si svolgono sulla spiaggia hanno luogo in una settimana; il percorso della scialuppa che arriva via mare copre una giornata; la difesa aerea una sola ora. Nel corso del film queste tre linee narrative si alternano in un montaggio parallelo abbastanza classico, se non per il fatto che le vicende dei vari personaggi si incastrano tra di loro in maniera assolutamente non lineare.

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Questo è il prestigio di Christopher Nolan: prendere una storia semplice e lineare e variarne un solo ingrediente – il tempo e la percezione che lo spettatore ha di esso – rendendo così il film un rompicapo enigmatico di difficile comprensione alla prima visione. Per chiudere il cerchio si può anche azzardare a affermare che il vero parallelismo con Stanley Kubrick avviene su questo piano più che su qualsiasi altro fronte: film pieni di sottotrame e significati nascosti, scatole cinesi che si chiarificano solo a una seconda o terza e donano alla parola cinema un nuovo, più alto e raffinato significato.

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