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Party Girl

02/10/2014 11:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Party Girl

C’è un vecchio monito, nell’immaginario umano condiviso, che invita a godersi il viaggio più ancora della meta che si desidera raggiungere...

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C’è un vecchio monito, nell’immaginario umano condiviso, che invita a godersi il viaggio più ancora della meta che si desidera raggiungere. Questo usurato modo di dire sembra pressoché perfetto per descrivere Party Girl, esordio di tre registi che - dopo aver condiviso i “banchi” alla famosa Fémis di Parigi - decidono di raccontare una storia intima, toccante e meravigliosa. Marie Armachoukeli, Claire Burger e Samuel Theis esordiscono alla regia con la vicenda di una donna che, a sessant’anni, si trova davanti a un bivio: proseguire con una vita fatta di avventure, eccessi e divertimento oppure decidere finalmente di mettere la testa a posto. Il quesito, Party Girl lo tratta quasi con noncuranza: non è l’interrogativo a interessare il pubblico, quanto il percorso che la protagonista Angélique affronta giorno dopo giorno, con il suo spirito selvaggio e ribelle.


Angélique (Angélique Litzenburger) è una vecchia fiamma della movida notturna: tra night club e lap dance, la donna ha vissuto un'esistenza intera passata a far festa. Con l’arrivo dei sessant’anni, la sua indole non si è affatto placata e sul suo volto cadente e stanco - sempre nascosto da una quantità smisurata di make up - la donna mostra occhi ancora febbrili, mai vuoti. Angélique è ancora una party girl di tutto rispetto. Una sera, mentre serve da bere in un night club, finisce col fare innamorare di sé un cliente che la chiede in moglie. Ecco che si apre allora per la donna uno degli interrogativi più importanti della vita: mettere in soffitta il suo temperamento indomito a favore di una vita monogama al fianco di un uomo che la ama?


Scelto come film d’apertura per la sezione Un Certain Régard al festival di Cannes 2014, Party Girl è una pellicola che racconta - persa nelle luci soffuse dei locali notturni - la voglia di una donna di rimanere sè stessa, di combattere contro stereotipi culturali e preservare la libertà che ne caratterizza la personalità. Si tratta di un film a tratti lento, intimo e piatto: nella prima ora di visione succede poco o nulla, tanto che la macchina da presa è talmente sedotta dal viso di Angélique – non bello, ma intenso – che non si cura affatto di riempire la diegesi con chissà quale invenzione contenutistica. Il cuore della pellicola è costituito infatti dall'interpretazione della Litzenburger, una donna affascinante che cammina per strada tagliando il profilo della notte, che si perde in una vita a cui non vuole rinunciare. C’è spazio anche per la riflessione sulla famiglia, sul bisogno di concilazione e - soprattutto – sul desiderio di autoaffermazione. I tre registi francesi dirigono un film imperfetto (con delle lungaggini di cui si sarebbe potuto fare a meno) ma così pieno di anima, coraggio e commedia che è impossibile, per lo spettatore, non tifare per questa protagonista adorabile.


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