Che piaccia o meno, la canzone neomelodica partenopea è uno dei tanti volti con cui è vista l’Italia; universalmente (ri)conosciuta come vero e proprio simbolo dell'identità peninsulare, la tradizione neomelodica napoletana è diventata un mezzo narrativo attraverso cui i registi Marco e Antonio Manetti, meglio conosciuti come Manetti Bros., decidono di portare sul grande schermo un poliziesco che sembra partorito dai meravigliosi anni ’70, dove crimine e ironia la fanno da padrone. Song’e Napule, presentato all’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, è un affresco ironico della Napoli di oggi e di ieri. Paco (Alessandro Roja) è un giovane diplomato al conservatorio, che rinuncia alla musica per entrare in polizia, grazie ad una raccomandazione che la madre è riuscita a trovargli. Ma l’animo di Paco non è fatto per la strada e ben presto il ragazzo finisce in un deposito giudiziario, dove tutto sommato passa le giornate in tranquillità . Un giorno, però, la sua strada si intreccia con quella del commissario Cammarola (Paolo Sassanelli), leggenda vivente dell’anticrimine che è tutto preso dal suo desiderio di catturare un pericoloso killer della camorra, un malvivente detto O’ Fantasma, perché nessuno conosce il suo vero volto. Cammarola ha bisogno di un poliziotto da infiltrare nel gruppo neomelodico capitanato da Lollo Love (Giampaolo Morelli), che si esibirà alle nozze di Antonietta Stornaienco (Roberta Liguori), figlia del boss di Somma Vesuviana. È probabile, infatti, che O’ Fantasma parteciperà al lieto evento; compito di Paco, allora, quello di smascherarlo. Per il ragazzo, tuttavia, la sfida si mostra ardua: dovrà combattere in prima linea, sotto copertura, nascosto da vestiti che gridano cafone, cantando e suonando un tipo di musica che avrebbe fatto inorridire tutti i suoi colleghi di conservatorio. I Manetti Bros. sono famosi per la loro capacità di spaziare da un genere all’altro; questa volta si cimentano in un racconto poliziesco che mira a sviscerare la realtà partenopea fondata spesso su falsi pregiudizi e luoghi comuni. Al centro del racconto c’è il mondo della musica più bistrattata al mondo, quella che riempie i gruppi denigratori su Facebook e che nessuno ammette di aver ascoltato almeno una volta nella vita. Ma la musica – seppur realizzata con la bella voce di Morelli, dalla cui immaginazione questo film nasce – è solo un contorno, una cornice divertente e originale in modo surreale, che serve per portare al cinema un film incentrato su personaggi al limite del verosimile, che sposano lotta e rassegnazione. Da una parte c’è il commissario Cammarola, che non riesce a pensare ad altro che al compimento della sua missione; dall’altro c’è Paco, occhialuto e vagamente poetico, che racchiude in sé tutti gli stereotipi stratificati nelle coscienze collettive quando si parla di Napoli. Egli descrive la città in cui si muove attraverso la messa in scena dei suoi difetti: dalla disperazione degli abitanti che si trovano a vivere in un girone infernale, passando per la piaga della camorra, fino a quella musica diventata sinonimo di trash a tutti i costi. Ma il protagonista accetta una missione che sembra esulare dalle sue capacità e così facendo accetta un processo di trasformazione che ne cambia la visuale e la prospettiva, e quello che era cominciato come un compito troppo arduo per un ex-musicista diventa l’ultima occasione per diventare padrone e protagonista della propria vita. Pur non facendo leva su una trama brillante e scadendo qualche volta in gag fin troppo tamarre, Song’e Napule svolge il proprio dovere narrativo e d’intrattenimento con una dignità stoica, riuscendo in più di un’occasione a far ridere di cuore chi è seduto in poltrona.