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Taxi Driver

23/05/2010 10:00

Danilo Cristaldi

Recensione Film,

Taxi Driver

Negli inferni urbani della “grande mela” dominano la violenza e il caos, generatori di un microcosmo malsano e alla deriva...

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Negli inferni urbani della “grande mela” dominano la violenza e il caos, generatori di un microcosmo malsano e alla deriva. Travis (antieroe scorsesiano per eccellenza), oppresso dal passato e dall’esperienza vissuta in Vietnam, guidando il taxi di notte se ne accorge e vuole provvedere a modo suo. Nei suoi viaggi notturni emerge la visione di un mondo schiacciato dalla presenza del male, dell’avidità di denaro, della paura e dell’indifferenza.


Nel narrare questa storia di solitudine e di amore represso, Scorsese approda in un territorio che conosce come le proprie tasche, evitando qualsiasi compiacimento o sentimentalismo. Ogni buona intenzione iniziale sfocia in un’aggressività che sembra un passo obbligato in una società che non ha tempo per la comprensione e il dialogo. Tutto e tutti percorrono la loro strada, seppur sbagliata.


Scritto da Paul Schrader, abituale collaboratore di Scorsese, è anche un ottimo esempio del cinema violento degli anni 70 e una delle vette del regista, cineasta che coniuga sapientemente sguardo d’autore e classicismo hollywoodiano. Girato in 35 mm (fotografia di Michael Chapman), è, dal punto di vista estetico, un’opera d’arte; un certificato che proclama il talento visivo di un autore che ha sempre considerato le immagini la colonna portante di un film. Eccezionali e funzionali le musiche di Bernard Herrmann, celebre musicista di Hitchcock, che accompagnano momenti nostalgici o terribili, misteriosi o deliranti, non essendo mai invadenti.


Non è cosa da poco affascinare e coinvolgere lo spettatore con un personaggio principale così introverso, misterioso, sotto le righe, animato da soprassalti di dura violenza; Scorsese e il suo sceneggiatore ci sono riusciti. Ma anche Robert De Niro. La sua è un’interpretazione straordinaria, ricca di sfumature, ellittica ed elusiva. Lo sguardo attraverso cui il regista mostra e descrive New York è lucido e distaccato, con un’assidua presenza di squallide ambientazioni. Scorsese si ritaglia una piccola parte di nevrotico ossessionato dal tradimento della moglie. Palma d’oro al Festival di Cannes 1976.


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