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La città proibita (2025), la recensione del film di Gabriele Mainetti: nella Roma multietnica ogni cinema è

14/03/2025 12:19

Matilde Migliosi

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La città proibita (2025), la recensione del film di Gabriele Mainetti: nella Roma multietnica ogni cinema è possibile

Un film sul Kung Fu nel rione Esquilino riesce a reggere la nostra sospensione dell’incredulità.

Gabriele Mainetti torna a sfidare le convenzioni del cinema italiano con un’ambizione più grande e internazionale e, contro ogni pregiudizio…ci riesce di nuovo!

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Mei, giovane cinese, è la secondogenita nascosta durante gli anni della politica del figlio unico, e arriva a Roma per cercare la sorella. 

È una donna forte e determinata, “senza misericordia” e assetata di vendetta. Per una serie di coincidenze si imbatte in Marcello, diventato proprietario del ristorante Da Alfredo, dopo la scomparsa del padre. Il giovane gestisce il locale con la madre, provata dal dolore, sotto la protezione di Annibale, un strozzino criminale, amico di famiglia (in puro stile Sorrentino).

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Non è solo Roma La città proibita

Il luogo della vicenda non è la Città Eterna (a cui Mainetti dedica una nostalgica scena che richiama Vacanze Romane), ma La Città Proibita, un ristorante cinese che fa da copertura a un brulicante e affascinante sottosuolo criminale asiatico. È un immaginario pop ormai penetrato nelle viscere della nostra realtà e che ne preserva i simboli. 

 

Nonostante i rimandi semplici e noti, le storie del regista sono sempre naturali e coerenti nelle loro contaminazioni, così anche un film sul Kung Fu nel rione Esquilino riesce a reggere la nostra sospensione dell’incredulità.

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È un cinema così reale perché nel suo cuore vi è un messaggio sociale attuale e immediato, le sue sequenze pretendono l’integrazione e ne denunciano la mancanza, i suoi personaggi sono corrotti e deboli sfruttati, le piazze sono colorate e multietniche, è un mondo che diventa quartiere.

Mainetti non bada a spese

Il cast azzeccato è ben inserito nelle dinamiche del genere, in cui balla una perfetta coreografia. La stessa perfezione si ritrova nella colonna portante del cinema d’azione, ovvero nelle sequenze di lotta. Mainetti, ormai lo sappiamo, è ambizioso e non bada a spese, per questo ha incaricato Liang Yang, fight coordinator famoso nel settore, professionista in grado di realizzare battaglie cruente ed elaborate, come non si erano mai viste in un film italiano. In questo viaggio il regista si fa accompagnare anche da un veterano del genere, lo sceneggiatore Stefano Bises, che, moderno Virgilio, lo conduce nei vicoli malfamati di Roma.

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Mainetti è coraggioso, non ha paura di approcciarsi a narrazioni lontane dalla tradizione italiana o di abbandonarsi al citazionismo: lo fa con la passione dell’amatore.

 

Ma questa volta ha voluto puntare più in alto, perché quello che realizza è un film politico. Il teatro della storia denuncia un’umanità povera e multietnica, giovani uomini clandestini e famiglie islamiche numerose che abitano case minuscole. 

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La città proibita racconta una storia (anche) italiana

È una difficile integrazione spiegata al nostro Paese, che passa anche attraverso la cucina e i piatti che Marcello prepara, l’amatriciana amata dal padre insieme al ramen servito ad Annibale nel finale. Su questo palcoscenico il regista evidenzia due punti di vista diversi e li connota senza timore: da un lato Marcello e sua madre, che lavorano e convivono serenamente inseriti nella comunità, dall’altro Annibale che, da delinquente qual’è, sfrutta per pochi spicci gli immigrati e li disprezza, riconoscendo in loro un nemico da allontanare e da combattere. Paradossalmente, nonostante questa convinzione razzista, i tre protagonisti sono tra i pochi italiani visibili nel quartiere. 

 

È proprio in questa sostanza del film che risiede la coerenza di tutta la storia perché, insieme alla malavita cinese e alle sequenze di combattimento, tutto è sorretto dalla sincerità del messaggio e dall’esigenza che il regista sente nel trasmetterlo.

Kung Fu all'Esquilino

Riguardo al citazionismo sopra menzionato, merita un’attenzione particolare il titolo iniziale (e provvisorio) del film: Kung Fu all’amatriciana. Qui non si tratta di una parodia ma l’anticipazione di una previsione, poiché quello che riesce a fare il regista con il genere action potrebbe veramente essere lo stesso che ha realizzato Sergio Leone con gli spaghetti western. Ciò è possibile perché quello che anima Mainetti è un’urgenza, necessaria per raggiungere grandi traguardi, e lo schermo ne traspira la tragicità.


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Genere: action, drammatico, noir

Paese, anno: Italia, 2025

Regia: Gabriele Mainetti

Sceneggiatura: Davide Serino, Gabriele Mainetti, Stefano Bises

Fotografia: Paolo Carnera

Montaggio: Francesco di Stefano

Interpreti: Chunyu Shanshan, Enrico Borello, Luca Zingaretti, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Yaxi Liu

Colonna sonora: Fabio Amurri

Produzione: Goon Films, Piper Film, Wildside

Distribuzione: Piper Film

Durata: 137'

Data di uscita: 13/03/2025

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