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Nella psiche di Lars von Trier: Antichrist, un film "manifesto"

28/04/2020 01:57

Alfredo De Vincenzo

Approfondimento Film, Film Horror, Film Drammatico, Lars Von Trier, Film Danimarca, Charlotte Gainsbourg,

Nella psiche di Lars von Trier: Antichrist, un film "manifesto"

Il mondo "terrificante" di Lars von Trier inizia da Antichrist: una sorta di film manifesto

 

 

Il mondo "terrificante" di Lars von Trier inizia da Antichrist: una sorta di film manifesto
 

«Quando faccio un film, il primo che voglio provocare è me stesso»
Perché Antichrist è il film manifesto del regista danese? Perché il più estremo ed eccessivo e perché la sua funzione è provocare attraverso l’atto creativo. Lars von Trier si pone come primo spettatore, alla ricerca di elementi di cui egli stesso non ha conoscenza o che non padroneggia con coscienza. Secondo Aristotele l’azione è l’intervento di un ente su un altro ente in maniera tale da modificarlo, ed è ciò che l’autore compie ponendosi in uno stato di distacco, dubbio e mutamento, nei confronti della sua opera. 

Decide così di partire dal prologo (esattamente come rifarà in Melancholia) in cui contrappone l’amore alla morte, attraverso la musica straziante di Lascia ch’io pianga che non fa altro che manifestarsi visivamente con il bianco e nero e la cura per i dettagli quasi maniacale. Il prologo, di chiara importazione teatrale, dichiara sin da subito le intenzioni di un film che pone costantemente in contrasto amore e morte, che in filosofia e psicoanalisi Freud chiamava Eros e Thanatos, ossia la pulsione della vita e la pulsione della morte. Questo tutt’uno che fa parte della vita, pervade il film, a partire dal principio, ossia il titolo.

Antichrist, filosofia e provocazione

Antichrist, con ogni probabilità si riferisce all’Anticristo di Nietzsche, saggio in cui il filosofo tedesco critica il cristianesimo sottolineando la contraddizione della dottrina cristiana che si fonda sulla filosofia della colpa poichè inculca nell’uomo una lotta, impossibile da vincere, contro il peccato e non contro il dolore, come invece accade nel buddhismo. Lars von Trier cita il filosofo tedesco per antitesi: per lui gli istinti naturali dell’uomo non si fondano su un principio di autoconservazione, come invece propone Nietzsche, bensì crescono sull’onda emotivo-razionale che invece può, anzi deve, portare al senso di colpa perchè si relaziona a una morale, a un ‘etica, di cui l’uomo comunque fa parte.

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Inutile immaginare questo film come un horror sull’Anticristo e cercare di dargli un volto e un nome, perchè per Lars von Trier tutti i protagonisti, e quindi forse tutti gli uomini, sono "anticristi": il protagonista, che rincorre il suo essere anticristo nel finale attraverso la perdita del proprio io; la protagonista che matura un disturbo di immedesimazione con il male; persino il bambino sembra spinto dall’innocenza tipicamente infantile verso la morte. Lars von Trier non svela mai i nomi dei protagonisti, come se fossero degli Adamo ed Eva, come se essi simboleggiassero, in maniera universale, il genere maschile e quello femminile; e questo perchè il film, come una seduta dallo psicoanalista, si pone in maniera tale da creare dolore a chiunque, dato che è proprio il dolore la parte fondante dell’umanità. Lars von Trierevidenzia una visione logocentrica del mondo, così razionale e radicata nell’uomo, che l’allontanamento da una società normale può diventare una malattia, nel senso clinico del termine.
 

La via della salvezza in Antichrist
Qual è l’unica via di salvezza? Secondo von Trier è la paura stessa, l’accettazione del dolore. Questa tesi è forse ancora più evidente per opposizione nel finale, quando il protagonista si incammina su una collina: questa scena ricorda la salita al Golgota, ma anche la trasfigurazione di Cristo sul Tabor - il monte dove Gesù cambiò aspetto davanti a i suoi tre discepoli - rivelando la sua natura trascendente, ma anche i riti bacchici.

Tutte queste interpretazioni del finale tuttavia confermano la componente prettamente filosofica del regista danese e dei suoi film, e soprattutto fanno da contorno alla questione principale del film, e della filmografia di von Trier. Freud, evidentemente maggiore ispiratore della poetica di von Trier, parlava di inconscio, preconscio e conscio, successivamente sostituiti da io (ego), super-io (super-ego) ed es (id). Secondo Freud l’Es è quello spinto dal desiderio di soddisfare le proprie pulsioni, ossia quella caratteristica che si forma ereditariamente ed i cui contenuti derivano dalla propria storia evolutiva, arricchendosi man mano, specie attraverso il complesso di Edipo ed il complesso di evirazione.

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Quest’ultimo altro non è che, negli uomini, la paura e l’ansia di perdere il proprio organo sessuale; per le donne invece si tratta dell’invidia del pene, e questo ricopre un ruolo fondamentale per l’evoluzione psicosessuale verso la femminilità, che porta inevitabilmente a un cambiamento della zona erogena e dell’oggetto. In Antichrist tutto questo è sin troppo evidente: da un lato troviamo l’Es, ossia il bosco, la natura, di cui l’uomo inevitabilmente fa parte, ed anche la donna che vive di bestialità ed istinti, specie sessuali, primordiali; dall’altro vediamo, e sarà forse eccessivamente scioccante vederlo, la castrazione dell’uomo attraverso un martello (complesso di evirazione maschile che si realizza) e l’eccessiva invidia nei confronti del pene da parte della donna (complesso di evirazione femminile che porterà alla castrazione dell’uomo).

Ma Freud parlava anche dell’Io, ossia tutto ciò che è a cavallo tra Es e Super-io, tutto ciò che è spinto dal senso di realtà, dalla razionalità, e nel film si può identificare nella casa che rimane l’unico posto dove trionfa sempre l’approccio razionalistico, non positivistico, ma consapevole della psiche umana. E infine troviamo il Super-Io, ossia il braccio morale ed etico che comprende leggi religiose e civili, e nel film si riscontrano in qualsiasi atteggiamento di rifiuto e allontanamento dell’Es.

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Natura e Uomo, Antichrist parla di loro, Lars von Trier parla di loro. E lo fa, in altre maniere forse meno eccessive, in film come Dancer in the dark o Dogville. E proprio come a teatro, ci racconta questa storia di sofferenza universale attraverso un prologo, con alcuni atti ed un epilogo, come se tutto fosse un circolo, di vita e di morte. Che vi piaccia o meno, questo è Lars von Trier.

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