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Audrey Diwan, Jane Campion, Maggie Gyllenhaal: la voce delle registe

15/09/2021 20:35

Samantha Ruboni

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Audrey Diwan, Jane Campion, Maggie Gyllenhaal: la voce delle registe

Tre dei più importanti premi di Venezia78 sono stati vinti da tre registe: Audrey Diwan, Jane Campion, Maggie Gyllenhaal. E, certamente, è solo l'inizio.

All'ultimo Festival di Venezia, tre dei più importanti premi sono stati vinti da tre registe: Audrey Diwan, Jane Campion, Maggie Gyllenhaal. E, certamente, è solo l'inizio

Nel 2021 le registe sono state protagoniste. Prima l'Oscar a Chloé Zhao, poi la Palma d'Oro a Julia Ducournau e ora il Leone d'Oro a Audrey Diwan, che si accompagna agli importanti premi ottenuti da Jane Campion e Maggie Gyllenhaal.

 

C'è molto da approfondire e tanto su cui riflettere. Prima di farlo, però, dovete promettere che, per continuare a leggere questo articolo, metterete da parte ogni polemica contro la presunta dittatura del politicamente corretto. La motivazione per cui Zhao, Ducournau, Diwan, Campion e Gyllenhaal hanno vinto va ricercata nel loro talento. Punto e basta.

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Non è che anni fa le donne non fossero in grado di vincere e ricevere premi internazionali in ambito cinematografico, il problema è che non riuscivano ad arrivarci.

 

Basti pensare che la prima regista a vincere un Oscar è stata nel 2010 Kathryn Bigelow. E che il premio a Cannes di Julia Ducournau, nel 2021, è giunto a 28 anni di distanza dalla "mezza premiazione" di Jane Campion: la sua Palma d’Oro era stata a parimerito con Chen Kaige. La strada per arrivare a questo 2021 è stata lunga, ma ne è valsa la pena.

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Jane Campion: alle donne serve una chance

Sempre Jane Campion quest’anno ha vinto il Leone alla Regia per The Power of the Dog: questo premio, uno dei più ambiti, arriva a dodici anni dalla sua ultima pellicola. Nelle interviste rilasciate dopo la premiazione, Campion dice di essere felice di fare parte di questa vittoria (finalmente!) delle donne al cinema. E aggiunge:

«Le statistiche non sono ancora dalla nostra parte, tutti si rendono conto che non ci sono abbastanza voci di donne nella narrativa. In televisione le donne sono più presenti, ma c’è un cambiamento in atto e credo che le donne abbiano oggi più coraggio e ricevano più sostegno. Dalle altre donne ma anche dagli uomini, che si rendono conto delle diseguaglianze».

Girare The Power of the Dog non è stato facile. Campion si è innamorata perdutamente del libro di Thomas Savage, ma trovare qualcuno che producesse il suo film non è stata un’impresa da niente. Per fortuna è arrivato in soccorso a Campion il sempre bistrattato Netflix: la regista ha dichiarato che nessuna produzione le aveva dato tanta libertà per girare un film; Netflix ha permesso che il suo film diventasse realtà.

Tornando alle parole di Jane Campion: «Siamo ancora poche ma il cambiamento è in atto, le donne sono più coraggiose e più sostenute rispetto al passato, anche dagli uomini. Basta dar loro delle chance».

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The Lost Daughter: i tabù della maternità

E la chance è stata presa al balzo anche da Maggie Gyllenhaal: a Venezia78 l'attrice ha presentato The Lost Daughter, suo debutto alla regia. Lo script, tratto dal romanzo di Elena Ferrante, La Figlia Oscura, le è valso il Leone per la Sceneggiatura. The Lost Daughter si svolge attorno a un tabù, non solo femminile: una donna che pensa di lasciare le figlie per poter seguire le proprie ambizioni. Già, il tema è tabù: perché se ormai siamo abituati a vedere (non solo) al cinema padri assenti e incapaci di relazionarsi con i figli, una madre che si comporta allo stesso modo ci lascia con l’amaro in bocca.

The Lost Daughter è un nuovo modo di leggere e raccontare la maternità.

Riguardo al film, Maggie Gyllenhaal ha dichiarato:«Spero che susciti nel pubblico gli stessi sentimenti che ho avuto io leggendo il libro. Ho sentito anch'io dentro di me questa ambivalenza. Il dolore, la rabbia e l'oscurità. E forse va bene così. Forse fa parte dell'essere umano, dell'essere donna nel mondo. Solo che, culturalmente, non diamo spazio a questi temi».

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Audrey Diwan: il Leone d'Oro che serviva

L’essere donna è uno dei temi fondanti del film vincitore del Leone d’Oro: L’Énvénement di Audrey Diwan. Un film che, mai come in questo periodo, avevamo bisogno di vedere. Nel mondo in questo momento solo 60 paesi permettono l’accesso libero e legale all’aborto, in tutte le altre nazioni l’aborto si può realizzare solo a condizione che sia l'ultima possibilità per salvare la vita della gestante o dopo un tempo limite, che va dalle 6 alle 12 settimane. È recente la decisione di Irlanda e Texas di associarsi a quest'ultima regola. 

 

Ma anche nei paesi dove l’aborto è legale, la presenza dei medici obiettori dilaga nelle strutture sanitarie. In Italia è da poco giunta all'attenzione dei media la storia del dottor Michele Mariano, l'ultimo ginecologo non obiettore del Molise.

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Quindi se ci chiedete se L’Énvénement è il film che doveva vincere il Leone d’Oro, noi vi rispondiamo di sì. Perchè non bisogna mai dimenticare che un premio è sempre qualcosa di politico e segna l’epoca in cui stiamo vivendo.

 

Un film che ci parla della nostra contemporaneità, anche se ambientato negli anni ‘60. Tratto dal romanzo omonimo di Annie Ernaux, è la storia di una ragazza che ha una gravidanza indesiderata e decide di abortire; ma l’unico modo per farlo, nella Francia degli anni ‘60, è clandestinamente.

Diwan non si tira indietro e ci fa vedere le difficoltà legate all'aborto da tutti i punti di vista e senza censure: il film ha suscitato agli spettatori e alle spettatrici di Venezia78 disgusto e dolore, e forse è giusto così. Magari è questo il modo per raccontare come l’aborto debba diventare/restare un diritto di tutte, affinchè sia realizzato in una struttura adeguata e con personale medico formato.

Parlando del suo film, Audrey Diwan dice: «L’Énvénement non è un film sull'aborto, ma sulla libertà delle donne. Da giovane ho dovuto abortire: l'ho potuto fare legalmente, in ospedale, in tutta sicurezza, senza rischiare la vita. Alle generazioni precedenti questo non era possibile e ancora oggi non lo è in molti Paesi, come la vicina Polonia».

 

E continua: «Ho fatto questo film con rabbia e desiderio, con la pancia, con le viscere, con il cuore. Volevo che fosse un'esperienza, un viaggio nella pelle di questa giovane donna. [...] Oggi tanti diritti acquisiti nei decenni dall'universo femminile sono di nuovo messi in pericolo e penso che che sia un modo di togliere potere alle donne, privarle di diritti fa parte di una guerra di potere con gli uomini».

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Anche se vorremmo con tutto il cuore ignorare le solite lagnanze sul politicamente corretto, tocca anche stavolta considerarle. A risposta, non c'è dichiarazione migliore di quella rilasciata dalla stessa Audrey Diwan.

«Vorrei che non facesse notizia il premio a una regista, mi batto non per l'uguaglianza in sé ma perché questa uguaglianza sia naturale finalmente. Avere pari accesso, pari opportunità nella società, incluso il fare cinema, è ciò per cui lotto. Siamo la metà del pianeta ed è molto importante il nostro sguardo attraverso i film. Spero che il Leone d'oro vinto apra altre porte alle mie colleghe».

Anche noi non vediamo l’ora di vedere che cosa racconteranno le registe e le sceneggiatrici nei prossimi anni. Certamente, questo è solo l’inizio.

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